Che le condizioni economiche nel continente europeo non siano delle migliori non è certo una novità, ma a molti tutt’ora sfugge la dimensione dei problemi e le loro terribili implicazioni.
L’Europa, come buona parte dell’Occidente in realtà, sta vivendo un periodo di recessione caratterizzato da inflazione ai massimi storici, la cui unica soluzione immediata sarebbe convincere la BCE ad alzare i tassi d’interesse: così facendo, la propensione cittadina a spendere denaro piuttosto che metterlo da parte sarebbe ridotta, abbassando pertanto la domanda sui consumi e di conseguenza i prezzi. Ciò è più semplice a dirsi che a farsi però. Infatti, buona parte dell’economia europea si basa sulla possibilità di ricevere credito a costi irrilevanti: qualora i tassi d’interesse venissero alzati a livello centrale, lo scenario che ci troveremmo di fronte sarebbe per niente dissimile alla crisi del debito sovrano vissuta nel lontano 2011. Non è un caso, pertanto, che nel momento stesso in cui la BCE ha annunciato un innalzamento di 50 punti base nei tassi d’interesse, i grandi colossi della finanza si siano posizionati al ribasso nei confronti dell’economia europea.
Al rischio di frammentazione politica, però, si aggiunge un altro problema fondamentale nella gestione di questa delicata situazione di crisi: né la BCE né l’Unione Europea possono agire direttamente sui fattori che stanno alimentando le forze inflazionistiche. Infatti, se proprio vogliamo essere onesti, le nostre istituzioni potevano prevenire buona parte del danno, ma hanno preferito agire d’emozione. Le principali cause dell’inflazione europea sono due: gli stimoli monetari pandemici, e le azioni europee nei confronti del conflitto in Ucraina.
Innanzitutto, l’enorme liquidità immessa nel sistema durante i periodi di lockdown ha raggiunto l’economia reale solo in parte: la popolazione ha preferito mettere da parte e investire, agendo con lungimiranza in vista di un possibile lungo periodo di chiusura. Nonostante le restrizioni siano ormai state quasi del tutto eliminate nel territorio europeo, il livello di spesa ha raggiunto quello pre-pandemico, dimostrando che quella liquidità aggiuntiva immessa nel sistema è rimasta, sostanzialmente, ferma nelle tasche di chi l’ha ricevuta. Soprattutto durante il periodo di lockdown, siccome i fortunati che sono riusciti a mantenere il lavoro si sono ritrovati con entrate costanti ma spese azzerate, la loro propensione alla spesa è aumentato, soprattutto verso prodotti informatici ed elettronici, e veicoli. Con le fabbriche parzialmente operative o proprio chiuse, e il traffico sia aereo che marittimo rallentato dalle restrizioni sui movimenti di merci, la disponibilità di tali prodotti ha iniziato a scarseggiare, spingendo le aziende ad aumentare la produzione e alzando il loro prezzo. In linea generale, sentendosi più ricche, le persone hanno più di quanto la nostra economia potesse offrire loro, e questo ha alzato drasticamente i prezzi.
In secondo luogo, sebbene i costi dell’energia e del cibo stessero salendo già durante l’autunno 2021, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia questo marzo non ha fatto che peggiorare la situazione. In termini di materie prime, questo conflitto ha enormi implicazioni per il continente europeo: da una parte, la Russia è il maggior fornitore europeo di gas naturale e carbone; dall’altra, l’Ucraina è il maggior fornitore globale di grano e fertilizzante. Considerando l’importanza che hanno le importazioni d’energia russa per il benessere e l’economia europea, scelta migliore per il continente sarebbe stato quello di rimanere assolutamente neutrale sulla situazione. Purtroppo, a causa di mancata lungimiranza e, forse, troppa emotività nella direzione dei lavori, si è scelta la strada delle sanzioni e degli interventi militari. Le sanzioni hanno bloccato i pagamenti nei confronti delle aziende russe, eliminandole dal circuito SWIFT. La Russia ha pertanto obbligato le proprie aziende ad essere pagate nella loro moneta, i rubli: le aziende europee si sono rifiutate di accettare queste condizioni, invalidando pertanto i contratti che avevano nei confronti della Russia, e diminuendo la quantità di energia in arrivo nel continente. Siccome dopo anni di movimenti “green” sono state chiuse molte centrali nucleari nel continente, il costo dell’elettricità è schizzato alle stelle, raggiungendo anche dieci volte il valore che aveva solo un anno fa.
Le famiglie, già in difficoltà dall’aumento del costo della vita, sono ora messe in ginocchio con un costo dell’energia inaccessibile. In Germania, si è annunciato un piano per ridurre il consumo elettrico nel paese del 20%. Altri stati del continente stanno valutando politiche simili. In ogni caso, molte famiglie dovranno abituarsi all’idea di essere senza riscaldamento questo inverno e sperare che ci sia sufficiente energia elettrica per permettere loro le attività giornaliere. Paradossalmente, però, questo è il problema minore. Da un punto di vista aziendale, l’inflazione aveva già abbondantemente mangiato i margini di profitto, che ora si trovano ad essere azzerati o addirittura negativi per molte piccole-medie imprese europee. Quando i costi aumentano, la prima cosa che viene fatta è licenziare il personale, così da alleggerire il carico. Se i costi continuano ad aumentare, l’azienda deve dichiarare bancarotta.
In conclusione, partendo da queste osservazioni, possiamo determinare quelli che sono i probabili scenari che ci troviamo di fronte per i prossimi mesi.
Innanzitutto, l’aumento dei tassi d’interesse risulterà nel fallimento di tutte quelle aziende che riuscivano a rimanere a galla solo grazie al basso costo del denaro. Inoltre, stati come l’Italia, la Spagna o la Grecia si troveranno, con ottime probabilità, a dover scegliere politiche d’austerità per ridurre il peso del proprio debito pubblico, dato che con i tassi più alti inizia a diventare molto costoso. In secondo luogo, sempre come conseguenza dell’aumento dei tassi d’interesse, ci troveremo davanti un crollo delle valutazioni sia degli immobili che degli investimenti mobili: ciò avrà pesanti conseguenze per tutti quei cittadini che avevano usato tali proprietà come collaterale ai loro mutui. A proposito di mutui, nell’eurozona moltissimi sono i mutui a tasso variabile, e con l’aumento dei tassi d’interesse alcune famiglie saranno costrette ad ipotecare o vendere le proprietà, accelerando il crollo delle relative valutazioni.
Se questo già non bastasse per scatenare disordini civili su larga scala, nel momento stesso in cui i licenziamenti si diffondono e le aziende iniziano a fallire, possiamo essere sicuri di vederne. Fortunatamente, le violente proteste popolari possono essere evitate, anche se la soluzione richiede che l’Unione Europea ammetta i propri sbagli e faccia marcia indietro. Proprio per questa ragione, mi aspetto che attorno a metà ottobre, prima che inizi il freddo, venga forzato un trattato di pace tra Ucraina e Russia, che includa la cancellazione delle sanzioni, per alleviare il dolore energetico nel continente. Nel breve termine, non ci sono altre soluzioni. Nel lungo termine, ovviamente, è necessario che il continente abbandoni i propri verdi sogni irrealizzabili investendo in infrastruttura, così da diventare energeticamente indipendente sia dalla Russia, che da qualunque altra nazione.
Difendersi da questa situazione è complesso, dato che i periodi di recessione sono storicamente pesanti per tutti i cittadini: mantenere il posto di lavoro e rimanere in grado di provvedere alla propria famiglia è già un grande risultato. Per gli amanti del rischio, invece, sono sicuro questo articolo avrà offerto vari spunti per speculazioni.