Da qualche giorno il dibattito politico italiano è impazzito su una faccenda quanto meno spinosa: l’abilitazione del green pass come lasciapassare per la partecipazione alle attività sociali. Come ogni volta, il bel paese si divide fondamentalmente in due fazioni opposte, favorevoli e non, che tra un insulto e un altro, si lanciano addosso argomentazioni basate principalmente sul proprio odio verso il prossimo. Infatti, da una parte abbiamo coloro che sono favorevoli alla limitazione delle libertà di coloro che ancora non si sono vaccinati, inneggiando alla segregazione e augurando loro le peggiori sfortune; dall’altra, invece, abbiamo coloro che sono contrari, che appellandosi alle distopie letterarie o al principio europeo di non discriminazione, accusano i primi di essere sostanzialmente degli aspiranti dittatori. In un dibattito tanto tossico, però, la ragione e la lucidità vengono annebbiate dalle emozioni feroci: vediamo con calma la situazione e le argomentazioni di ambedue le parti, così da farci un’opinione logicamente ragionata.
Anzitutto, partiamo dalle basi. Qualche mese fa, quando si era parlato per la prima volta di passaporto vaccinale, questo documento voleva avere un aspetto profondamente differente da quello che, concretamente, ha adesso il green pass: inizialmente, infatti, tale documento doveva essere concesso solo a coloro che avessero concluso il ciclo di vaccinazione. La limitazione delle libertà dei non vaccinati, seguendo quel modello di documento, era assolutamente inconcepibile: anzitutto perché non tutti hanno oggettivamente la possibilità di vaccinarsi (eg. minori e immunodepressi), e in secondo luogo perché il vaccino non era ancora obbligatorio. Fondamentalmente, quella sarebbe stato un atto discriminatorio, che oltre ad essere già sbagliato in principio in quanto tale, avrebbe appesantito ancor di più la posizione dei giovani, già tormentati dall’odio generazionale italiano fomentato in questi ultimi due anni. Il punto è che il green pass così come ci viene presentato oggi è completamente diverso rispetto all’idea iniziale di passaporto vaccinale: infatti, certo è vero che venga rilasciato alla conclusione del ciclo vaccinale, ma può essere rilasciato anche a seguito di un tampone negativo o di una certificata guarigione dal covid-19. Pertanto, appellarsi alla sentenza europea sulla non discriminazione dovuta al green pass è abbastanza inutile, in quanto lo Stato non discrimina i non vaccinati, ma, piuttosto, tutti coloro che non siano vaccinati, guariti o provvisti di tampone negativo. Ciò non significa che sia giusto, ovviamente, ma ci torniamo dopo. Oltretutto, proprio per le modalità attraverso cui un cittadino può ottenere il green pass, le argomentazioni a favore delle limitazioni di libertà ai non vaccinati sono altrettanto stupide, in quanto possibile ottenere tale certificato anche privi di vaccinazione.
Smontate queste due argomentazioni, tristemente comunissime, rispettivamente contro e pro limitazioni, analizziamo analiticamente il contesto. Da due anni ormai, il mondo intero sta combattendo contro la diffusione di un virus influenzale nel tentativo disperato di non intasare i propri sistemi sanitari nazionali. Infatti, nonostante molti ancora siano convinti che il problema del covid siano i morti o i contagi, concretamente parlando il problema è che se i limitati posti in terapia intensiva vengono occupati dai casi gravi, tali posti non sono più disponibili per tutte le altre patologie che potrebbero averne bisogno. Fortunatamente, tale virus non colpisce tutte la popolazione ugualmente, ma, anzi, tende a sfumare dalla quasi letalità per i molto anziani fino all’innocenza di un raffreddore per i più giovani. Proprio per questo motivo, una volta vaccinate o comunque protette le categorie più a rischio di complicazioni gravi, gli ospedali dovrebbero sentirsi alleggerita la pressione e, pertanto, l’emergenza potrebbe essere dichiarata conclusa. Ciò significa anche che, semplicemente basandoci sul rischio di complicazioni gravi nei singoli individui, i vaccini dovrebbero essere altamente consigliati per gli over 60, consigliati agli individui tra i 40 e i 60 anni d’età, sconsigliati agli individui tra i 20 e i 40 anni d’età e altamente sconsigliati agli individui sotto i 20 anni. Infatti, per quanto la malattia comporti dei rischi, tra cui quelli a lungo termine di natura tutt’ora sconosciuta, anche la vaccinazione comporta dei rischi, i quali a lungo termine sono anch’essi di natura sconosciuta. E’ comprensibile creare delle sorte di “spinte gentili” per incentivare la vaccinazione nella popolazione, d’altronde più persone sono protette, meno il sistema sanitario nazionale rischia nuovamente il collasso, ma tali devono rimanere: spinte gentili.
Qua arriviamo al nodo della questione. La vaccinazione per il covid non è obbligatoria e, nonostante molti desiderino cambiare tale condizione, di fatto non può nemmeno diventarla: in quel caso, infatti, lo Stato sarebbe obbligato a pagare gli indennizzi a tutti coloro riscontrassero effetti collaterali a seguito del vaccino e tale possibilità, considerando che i vaccini sono stati autorizzati in via emergenziale e che non si conoscono ancora gli effetti a lungo termine proprio per tale ragione, è del tutto da escludersi. E sì, i vaccini sono effettivamente approvati in via emergenziale, come anche riportato all’interno del sito dell’EMA (e della FDA, per i compagni statunitensi, a cui si applica lo stesso identico discorso ovviamente). Pertanto, in mancanza di un obbligo, l’individuo deve avere la libertà di farsi un bilancio personale tra costi e benefici, e decidere di conseguenza: un ventenne in ottime condizioni di salute potrebbe decidere di non vaccinarsi in quanto statisticamente l’infezione non gli procurerebbe alcun fastidio, e deve poter essere libero di prendere questa decisione ragionata senza ripercussioni. Ma attenzione, con questo non intendo dire che la libertà di scelta significhi anarchia, anzi: vivere in una società significa dividersi i costi per raggiungere un obiettivo comune, e se l’obiettivo comune è raggiungere l’immunità, puoi decidere di pagare il tuo costo accavallandoti il rischio della vaccinazione o subendo il fastidio del tampone.
Il motivo per cui io sono fortemente contrario all’obbligatorietà del green pass non è da ricercarsi nelle motivazioni sanitarie che vi stanno dietro infatti, quanto piuttosto alle implicazioni che esso comporta. Innanzitutto, il green pass contiene una moltitudine di dati personali in chiaro, come per esempio lo stadio vaccinale e i dati anagrafici: è contro qualsiasi normativa sulla privacy accettare che un individuo privo di autorità specifica, come potrebbe essere un barista, un ristoratore o un buttafuori, possa non solo richiedere tali dati, ma perfino visualizzarli e agire di conseguenza. In secondo luogo, instillare nella popolazione l’idea che sia necessario un costante sacrificio per raggiungere il rischio zero è una strada pericolosissima: il rischio zero non esiste, in nessun aspetto delle nostre vite, e storicamente le peggiori manovre autoritarie sono state autorizzate proprio in nome della salvaguardia della sicurezza nazionale. Tra l’altro, iniziare a far pensare che sia normale essere costretti a mostrare certificati, documenti e dichiarazioni per svolgere attività normali come andare al ristorante, passeggiare, entrare in università o andare in palestra, è follia e lascia spazio a manovre ben più autoritarie, e richiama alla mente periodi bui della storia europea. Inoltre, ritengo che il green pass sia fortemente prono alla disuguaglianza, perché tralasciando per un attimo la semplicità con cui lo si può falsificare, dà per scontato che un vaccinato o un guarito non possano più ulteriormente diffondere il virus, quando i dati e il buonsenso affermano il contrario. Mi spiego meglio: il green pass rilasciato a seguito della seconda dose di vaccino o della certificazione di guarigione, ha una durata di sei mesi, mentre quello rilasciato a seguito dell’esito negativo di un tampone ha una durata di sole 48 ore. La presenza di anticorpi all’interno dei nostri organismi però, indifferentemente che sia essa dovuta alla vaccinazione o alla corretta guarigione, non implica che sia impossibile per noi far entrare nuovamente il virus nel nostro corpo ma, piuttosto, che nel caso in cui entrasse non ci costituirebbe danno. Ciò significa, banalmente, che un vaccinato può essere un positivo asintomatico o, come veniva detto fino a un anno e mezzo fa, un portatore sano. Ma non è detto che lo sappia, in quanto avendo il green pass della durata di sei mesi potrebbe tranquillamente non fare mai tamponi per tutto questo tempo, rimanendo comunque però nella libera facoltà di accedere a qualunque locale e qualunque attività. Non ha molto senso, ed è ingiusto.
Ciononostante comunque, ciò che più mi preoccupa di questa situazione non è tanto la deriva di onnipresenza che la politica italica sta prendendo, quanto piuttosto l’aria che si respira parlando con i nostri concittadini. Complici i media tradizionali, che criminalmente ricercano il click tramite propaganda sensazionalista, sempre più spesso sento affermare posizioni disumane e indecenti, per cui provo sinceramente ribrezzo, come “i non vaccinati sono un danno per la società, e per tale ragione vanno eliminati” o “i non vaccinati dovrebbero essere completamente esclusi dalla vita, senza poter andare a scuola o al supermercato”. Parliamone, questo è un odio grave, pericoloso e da brivido, sintomo di una frattura sociale molto profonda. Quest’odio non verrà sanato tramite obblighi e restrizioni, ma anzi così facendo non farà altro che aggravarsi, e le conseguenze potrebbero essere molto violente. Per spiegarci, lo stesso clima d’odio lo si provava nella germania nazista verso gli “impuri” o negli Stati Uniti al tempo della segregazione razziale: cerchiamo di imparare dalla storia ed evitiamo di ripercorrerla tale quale. I non vaccinati non sono il male della società, o, almeno, non lo sono più di quanto lo siano i fumatori, gli alcolisti, i drogati, gli spacciatori e gli evasori fiscali. Seriamente, ripigliatevi e fatevi un esame di coscienza molto profondo.