Introduzione
Il diritto naturale è il diritto che la natura mostra ad ogni uomo. Esso riconosce che alcune pretese, o facoltà, esercitate dall’individuo, sono la manifestazione dei suoi diritti fondamentali e inalienabili, non abrogabili o declinabili né da parte del legislatore, né da chiunque altro per suo conto.
Questa teoria, meglio conosciuta sotto al nome di “giusnaturalismo”, è la sintesi del complesso apparato comportamentale che costituisce l’interazione tra individui e, più in generale, tra gruppi. Proprio per tale ragione, il diritto umano, anche semplicemente chiamato “diritto positivo”, non può che fondarsi sul diritto naturale, andando per deduzione a espandere il principio universale di non aggressione, spesso riassunto nel motto: “non fare ciò che non vorresti fosse fatto a te”. In passato, il giusnaturalismo ha trovato grosse difficoltà nella sua relativa applicazione, in quanto non vi era mai stato alcun accordo su quali dovessero essere tali principi universali ispiratori delle norme giuridiche. Infatti, prendendo per esempio le Chiese, che sono attualmente le principali assertici del diritto naturale, queste tendono a identificarlo con i principi dettati dai loro relativi testi sacri, indifferente quali essi siano. I giuristi e, più nel generale, gli studiosi laici, invece, tendono a identificarli in valori come la giustizia o l’equità. Tali però hanno il difetto di essere vaghi, imprecisi, e pertanto invalidi nella costruzione di una teoria sociale rilevante. Non essendoci stato in passato alcun accordo su tali principi fondamentali, la teoria stessa del diritto naturale è affondata. Il fatto che in passato non sia stato trovato un accordo su tali principi fondamentali, non significa però che questi non esistano. Infatti, ci sono tre colonne portanti della stabilità sociale senza cui alcun popolo può succedere nel progresso: la libertà, l’autodifesa, la proprietà.
Si faccia attenzione al fatto che tali principi non descrivono né l’ordinamento statale né tantomeno la struttura dello stesso: ciò non è casuale, lo Stato come entità viola intrinsecamente tutti e tre tali principi, come vedremo di seguito.
Libertà
La libertà è il diritto dell’individuo di disporre a piacimento della propria esistenza, con un solo ed unico ovvio limite: il principio di non aggressione. La libertà sposta sull’individuo il peso e la responsabilità della scelta di cosa fare del proprio corpo, della propria salute, della propria vita, della propria mente e del proprio tempo. Questi, sono, gli argomenti della libertà.
In quanto unici possessori del nostro corpo, siamo gli unici che devono poter decidere sulla sua sorte, sul suo aspetto, sulla sua pulizia e sul suo utilizzo. Il cittadino deve potersi tatuare o amputare, se ciò è quanto desidera. Il cittadino deve potersi abbuffare, drogare, avvelenare, se ciò è quanto desidera. Non tutte le scelte effettuate sono ugualmente intelligenti o sensate, ma lasciare all’individuo la possibilità di prenderle autonomamente è fondamentale affinché la società nel complesso risplenda.
Allo stesso tempo, proprio perché unici possessori del proprio corpo, tutti gli individui devono poter decidere di loro gusto riguardo la propria salute. Ciò sottintende ovviamente la libertà dell’individuo di farsi del male, adottando stili di vita nocivi a sé stesso o usufruendo di sostanze dannose al proprio corpo. Ciascun individuo deve poter decidere liberamente come trattare il proprio corpo, cosa inserirci all’interno, e sottostare alle naturali conseguenze delle scelte sbagliate. Importante è che possa decidere di farlo. Per tale ragione, e tale soltanto, qualunque forma di proibizionismo, quali ad esempio quello contro gli stupefacenti, e qualunque forma di obbligo, quali ad esempio quello sulle vaccinazioni, è sbagliato in principio: potremmo parlare per ore sulle caratteristiche e sulla validità degli stessi, ma nel momento stesso in cui rimuovi all’individuo l’opportunità di stabilire liberamente le sorti del proprio corpo, stai violando il principio di non aggressione, pertanto stai sbagliando. Ci sono altre vie, come vedremo tra poco, per evitare che le persone scendano in convinzioni dannose per la comunità, ma gli obblighi e i divieti sono tutto meno che la via verso cui indirizzarsi.
Poiché un uomo non può considerarsi libero fintanto che non può decidere quando e se terminare la propria vita liberamente, ne consegue che ogni individuo ha il diritto alla vita e al proprio omicidio, il suicidio. E’ quantomeno ipocrita infatti costruire una società libera, come dovrebbe essere la nostra, ma criminalizzare atti come il suicidio o l’eutanasia. Con questo non s’intende ovviamente incentivare tali estremismi, anzi, il buonsenso spinge qualunque individuo a cercare di far ragionare meglio coloro che vogliono spegnere la propria luce: ciononostante, qualora tale fosse il loro effettivo volere, nessuno può e deve opporsi.
La libertà di pensiero è quanto usualmente viene associato al concetto stesso di libertà, per quanto sia solo uno dei cinque elementi che ne costituiscono le fondamenta. Ogni individuo deve poter pensare e ragionare, privo di restrizioni, forzature o influenze, e senza alcun genere di ripercussione personale: ciò comprende l’analisi della situazione, la possibilità di dubitare di quanto riportato dal verbo, la deduzione partendo da dati incompleti. Il ragionamento è vano se lasciato a sé, da cui la necessità di avere il medesimo grado di libertà sia nel pensiero che nell’espressione. Chiunque deve poter apertamente esprimere il frutto delle sue analisi, dei suoi pensieri e dei suoi ragionamenti, senza conseguenze morali, civili, sociali, politiche o lavorative. Se codesti frutti fossero privi di valore, falsi o ingannevoli, non sarà tramite la censura che le si abbatteranno, ma piuttosto tramite contro argomentazioni ragionate e razionali: la censura, indifferente sotto che forma venga applicata, porta inevitabilmente a rafforzare il messaggio da censurare, in quanto provoca negli spettatori l’idea che tale messaggio sia stato nascosto perché veritiero o, peggio, fastidioso. La stupidità la si combatte con la ragione, mai con il riso, il disprezzo o la condanna.
Infine, ogni individuo deve poter disporre del proprio tempo come meglio ritiene: ogni istante è vissuto una volta sola, e ciascuno di essi potrebbe essere l’ultimo, sarebbe quanto meno crudele imporre un utilizzo preciso ai medesimi. Ovviamente, la libertà comporta responsabilità e conseguenze, elementi da tenere bene a mente quando si valuta l’allocazione delle proprie giornate. Coloro i quali metteranno il proprio impegno in direzione delle proprie ambizioni, saranno felici, soddisfatti e ricchi di risultati. Coloro i quali, invece, porranno le proprie risorse in percorsi disallineati rispetto alle proprie ambizioni, riceveranno solo pesanti e amare sconfitte. L’individuo non può che essere consapevole sulle cause della propria sorte.
Autodifesa e proprietà
Aggredire il prossimo è sbagliato, innaturale e dannoso all’equilibrio della società: tale è la ragione per cui bisognerebbe rispettare il principio fondamentale. Ciononostante, non tutti sono capaci di rispettarlo o, peggio, sono consapevoli di commettere un’infrazione. Ogni individuo deve potersi difendere dagli aggressori, per rispondere e prevenire gli attacchi a sé, alla sua libertà o alla sua proprietà. Nel caso si ripetesse il fatidico errore di delegare il compito della nostra personale difesa a terzi, quale esempio noto è rappresentato semplicemente dalle forze dell’ordine, si rischia che questi utilizzino tale rapporto di forza sbilanciato a loro favore per aggredire gli stessi individui che si prefiggevano di difendere. Storicamente, sono rare le volte in cui non si sia giunti a codesta conclusione. Affinché tale squilibrio di forza non si generi, è necessario che sia data la stessa possibilità di difesa a tutti gli individui. Viene da sé, pertanto, che non può che essere libero il possesso di armi.
Si potrebbe pensare, sarebbe piuttosto scontato in effetti, che liberalizzare il possesso di armi aumenti la violenza e l’instabilità sociale della nazione: non v’è niente di più sbagliato, basti considerare la situazione Svizzera per comprenderne i dettagli.
Ovviamente, nel momento stesso in cui il principio di non aggressione viene infranto, è un dovere morale e civile rispondere affinché venga ristabilito l’ordine pacifico precedente: è pertanto insensato utilizzare l’opportunità di comprare armi liberamente per attaccare il prossimo, in quanto la risposta sarebbe a tono e dalle conseguenze spiacevoli. D’altronde, ciascuno raccoglie ciò che semina. In definitiva, il possesso di un’arma non significa, necessariamente, il dovere o la volontà di utilizzo.
Infine, nessuna società libera può nascere senza dichiarazione di proprietà: ognuno di noi è caratterizzato da ciò che ha, oltre che da ciò che fa. La proprietà può essere relativa ad oggetti, pensieri, idee. In quanto liberi di esprimerci, svilupparci, pensare e muoverci, la proprietà privata è una diretta conseguenza della nostra stessa e legittima libertà: qualsiasi restrizione alla proprietà privata sarebbe una diretta restrizione alla nostra libertà e, infrangendo il principio fondamentale, va combattuta. Ad ognuno spetta il totale controllo di quanto succeda ai propri possedimenti, a patto che ciò non infranga il principio fondamentale. E’ legittimo che ci si voglia liberare di qualcosa, è illegittimo che lo si faccia scaricandolo abusivamente sul terreno altrui; è accettabile decorare la dimora a proprio gusto, è inaccettabile imbrattare senza consenso le murature esterne di un palazzo comune. Spetta ovviamente solo ed esclusivamente all’individuo assicurarsi che terzi non abusino delle sue relative proprietà, proteggendole e curandole a dovere.
Lo Stato
Nel corso della storia varie strutture amministrative e varie ideologie politiche si sono alternativamente susseguite. Nonostante tutte le possibili diversità, divergenze e comunanze tra esse, possiamo ugualmente classificarle all’interno di due macro-categorie: quelle di stampo libertario, e quelle di stampo autoritario. Incredibilmente, non esiste ideologia che non sia classificabile in tale dicotomia.
Negli ultimi secoli, quasi tutte le nazioni del mondo si sono indirizzate verso la costruzione di Stati democratici: questi sono diventati talmente comuni ormai, che a molti viene difficile riuscire a discernere tra tale struttura e lo stesso concetto di “società”. Alcuni si spingono addirittura a venerare lo Stato come fosse l’apoteosi della società, la grande barriera che ci difende dalla tentacolare espansione del settore privato. Pertanto, nascono espressioni come “noi siamo lo Stato”: codeste non solo giustificano qualunque operato governativo, ma intensificano anche l’idea che tali operati siano sempre nella totale volontà del popolo. E’ una buona maschera all’immensa fallacia logica che vi sta dietro tale convinzione. Per assurdo, fossimo noi lo Stato, se questo incrementasse il proprio debito per favorire una classe sociale a discapito di un’altra, sarebbe un bene, perché essendo noi lo Stato ci saremmo fatti credito.
Lo Stato non siamo noi. Lo Stato è un’organizzazione criminale fondata sull’idea che la volontà della maggioranza sia il bene universale, che usa astutamente per mettere in atto le peggiori ingiurie pensabili. La forza dello Stato, come saggiamente scrive Rothbard nel suo capolavoro “L’anatomia dello Stato”, consiste nel convincere che lo Stato sia la rappresentazione dei propri cittadini, così che qualsiasi cosa questa struttura decida di fare, è sempre nella volontà di questi ultimi. Ma il fatto che la maggioranza sia unita sotto ad una volontà, non rende automaticamente tale volontà giusta, etica o desiderio di tutto il popolo. Se lo Stato decidesse per maggioranza del 70% di uccidere il rimanente 30%, si tratterebbe ugualmente di omicidio, non certo di suicidio volontario della fetta sfortunata.
L’aspetto criminale di questa struttura non risiede, però, nel fallimento della democrazia, quanto piuttosto nelle modalità attraverso cui si alimenta: ricatto e forza. Lo Stato è l’unica organizzazione che ti richiede di pagarla, per il semplice fatto di esistere, tramite ricatto: puoi tranquillamente non pagare, ma in tal caso ti vengono sequestrati i beni, o ti viene tolto l’accesso alla società, o ancora semplicemente ti viene aumentata la somma da consegnare. Sembra il capolavoro di Francis Ford Coppola, ma è la realtà che viviamo ogni giorno. Alcuni potrebbero dissentire da questa posizione, affermando che le tasse servono a finanziare i servizi che usiamo, a garantire la sicurezza, ad amministrare la burocrazia, a permettere un buon livello di vita, a mantenere le strade e le città in buono stato. E’ comprensibile, lo pensavo anche io. Guardatevi attorno, ripensate agli ultimi anni, è davvero stato così? No. Potreste allora dire che le casse dello Stato sono state amministrate male, ma quelle persone sono state votate, avevano il potere di farlo. E’ stata vostra la colpa di concedere loro tale potere, legittimando questa struttura e obbedendovi proni.
Il Capitale
Non c’è nulla che lo Stato, nella sua tremenda inefficienza, riesca a fare meglio delle singole aziende private. Le strade tenute meglio sono quelle private, vedi le autostrade. Le compagnie aeree preferite dai clienti sono private, anche se abbiamo il privilegio di continuare a finanziarne una in rotta di fallimento da più di dieci anni. Le scuole che restituiscono agli studenti risultati ed esperienze migliori, sono anch’esse private. Perfino nella sanità, il settore privato garantisce risultati e prezzi migliori del settore pubblico. Il motivo dietro a questo fenomeno è chiaro a chiunque si voglia impegnare a ragionarci sopra: il profitto. Non c’è nulla che attira il progresso, la qualità e l’innovazione, più che la semplice lotta per il profitto. Il modello economico che si basa su questo concetto è, curiosamente, quello più diffuso al mondo: il capitalismo.
Il capitalismo permette ai prodotti e ai servizi mediocri di scomparire, lasciando il palco libero ai prodotti di migliore qualità. Un prodotto scadente non verrà acquistato, pertanto non genererà profitto e sarà sconveniente continuarne la vendita; al contrario, un prodotto di qualità sarà molto apprezzato e, di conseguenza, acquistato, generando profitti al venditore. Il venditore di successo non manterrà mai il suo prodotto stabile, perché altrimenti non vi sarebbe la necessità di comprarne ancora, pertanto parte dei suoi profitti saranno reinvestiti nell’innovazione del prodotto. Questo fenomeno è la chiave del progresso.
L’organizzazione Statale, centralizzata, lenta, coercitiva, inefficiente e spesso lontana dalle esigenze del cittadino, è il contrario dell’ideale capitalista. Considerando anche l’immensa burocrazia, il furto legalizzato delle proprie entrate, le innumerevoli regolazioni contro il settore privato e l’estensiva opera di limitazione della libertà di mercato, non possiamo che giungere ad una conclusione: non potrà mai esservi società libera e progredita, senza unire l’ideale capitalista all’abolizione dello stesso Stato.
Letture consigliate dopo questo articolo: “Il paradosso della democrazia (M. Marinelli)” e “Per una nuova libertà (M. Rothbard)”.