Il fondamento di ogni Stato è l’educazione della sua gioventù
Diogene di Sinope, filosofo
Anche se esageratamente banale, la più semplice e intelligente scelta strategica del sanare i problemi alla loro radice, spesso e volentieri, risulta sconosciuta agli occhi della classe politica e dirigente. Ci sono, ovviamente, delle motivazioni razionali attorno a questa scelta, principalmente derivanti dalla consapevolezza che la postposizione del problema sia nettamente più conveniente rispetto al tentativo di sua risoluzione: questa tattica permette, di fatto, di prendersi la gloria di aver risolto il problema in tempi relativamente brevi, e prima che ci si renda conto che il problema non è stato effettivamente risolto, ormai la colpa può essere scaricata su qualcun altro. A grosso modo, la politica italiana degli ultimi 100 anni è riassunta così. Ma questo modus operandi è, nel lungo termine, esageratamente svantaggioso, accrescendo esponenzialmente la complessità e il costo di risoluzione di quei problemi inizialmente lievi. Purtroppo, questo discorso può essere applicato a moltissimi aspetti, spaziando dalle scelte economico-sociali, quali la tanto popolare problematica dell’immigrazione di massa, a temi più “banali”, quale il sistema scolastico ed educativo generale. E proprio a quest’ultimo punto vorrei concedere maggiore riflessione in questo articolo.
E’ necessaria innanzitutto una premessa, partendo dalla distinzione fondamentale tra educazione e istruzione, e dalle limitazioni che una riforma scolastica, indifferente quanto ben fatta, si trova ad aver di fronte. Sono fortemente convinto che gli anni scolastici debbano lasciarti un bagaglio nozionistico generale, per una questione di cultura personale in un’ottica di altrimenti diffusa ignoranza e pigrizia, ma non può e non deve limitarsi a questo: gli anni scolastici devono garantire una serie di competenze realmente utili, che possano permettere, oltre ad una maggiore comprensione del mondo e interazione con lo stesso, uno sguardo efficace verso le proprie scelte sul futuro. Tra queste competenze utili rientrerebbero tante materie, dalla comunicazione ad una comprensione di base degli scenari economici, ma il tempo è limitato e, anche qualora non lo fosse, non tutto può essere insegnato senza dare la possibilità di fare effettiva esperienza. E qua arriviamo alla prima grande limitazione della scuola: il metodo. Il sistema scolastico internazionale è concepito sulla base di un professore che, più o meno frontalmente, spiega un determinato argomento, per poi successivamente verificare sia stato assimilato dai suoi studenti. Questo metodo consegue inesorabilmente verso un accumulo nozionistico-mnemonico privo, per moltissime materie, di qualunque comprensione e conseguente utilità. Nessuna riforma scolastica può realisticamente superare la barriera imposta da questo metodo, in quanto il superamento comporterebbe la distruzione di un sistema ormai ben affermato a livello internazionale, sebbene spesso inutilmente contestato.
Ciò che possiamo fare, però, è aumentare quanto più possibile l’efficienza di questi anni scolastici: vanno pertanto modificati l’orario e, qualora necessario, il programma scolastico delle materie. Al fine di poterne inserire alcune nuove, mantenendo invariato il monte ore totale, è indispensabilmente necessaria l’eliminazione di alcune materie, o la riduzione del loro peso. Le ore di scienze motorie andrebbero completamente eliminate dal programma, poiché per quanto possa essere utile l’esercizio fisico e il movimento, quelle ore settimanali risultano futili sia per gli studenti che praticano attività sportiva, sia per gli altri: per i primi, infatti, qualche ora di allenamento in più non contribuiscono a migliorare le loro prestazioni, soprattutto considerato il modo in cui queste vengono eseguite; per i secondi, invece, lo svolgimento di queste due rilassatissime ore non porterà loro un reale beneficio fisico. Un’altra materia che, per termini di utilità e di modernità, non ha motivo di continuare ad esistere all’interno del sistema scolastico italiano è lo studio della religione, abbreviato comunemente in IRC, la quale spesso e volentieri si trasforma in un momento di svago o di terapia psicologica collettiva. Ma svagarsi lo si può fare anche altrove, e per l’esternazione dei propri problemi ci sono già, anche all’interno dei singoli istituti scolastici, aule e centri creati appositamente.
Cosa farne ora di queste ore rimaste libere? Sarebbe quanto meno stupido sprecarle abbassando il monte ore scolastico, e altrettanto inutile utilizzarle come estensione di altre materie già attualmente presenti. Una risposta concreta, per ovvie motivazioni, non potrà arrivare se non dal ministero dell’istruzione ma, nel frattempo, proporrei alcune modifiche effettivamente utili. Innanzitutto, l’inserimento di uno spazio dedicato, soprattutto negli indirizzi in cui non è già presente, alla spiegazione degli scenari economici. Così facendo, oltre a spiegare l’utopia di alcune ideologie economiche, che male certo non fa, gli studenti prossimi al diciottesimo anno di età sarebbero in grado di acquisire una capacità analitica delle proposte politiche decisamente più accurata e, conseguentemente, potrebbero esprimere, a scadenze elettorali, un voto consapevole, riconoscendo quelle proposte economicamente irrealizzabili. E sia chiaro, non è per impedire ad alcuni movimenti politici di crescere ed espandersi, bensì solo ed esclusivamente per permettere al paese di avere una classe politica seria, indifferente quale sia la propria fazione politica di appartenenza. Nei limiti della possibilità temporale, sarebbe inoltre sensato accostare alle lezioni economiche anche delle lezioni per trasferire una minima conoscenza del diritto agli studenti, per lo stesso identico motivo spiegato sopra.
Successivamente all’inserimento di ore dedicate a lezioni economiche e di diritto, andrebbe radicalmente modificata la struttura del programma di informatica. Attualmente, infatti, il programma di informatica nei licei, laddove presente, porta nelle classi un’introduzione alla pratica e un’approfondita teoria, il che di sé per sé potrebbe anche andar bene ma, essendo tale pratica insufficiente a utilizzare al meglio le possibilità avanzate dal mondo informatico, ed essendo anche la teoria inutile alla reale comprensione dell’ambiente informatico a disposizione, queste ore settimanali risultano essere pressoché inutili. Sarebbe utile, piuttosto, adeguare le conoscenze teoriche trasferite agli sviluppi informatici e ai tempi moderni: non ha senso continuare a trasmettere agli studenti informazioni e metodi di lavoro datati al secolo precedente, soprattutto considerata la velocità con cui procede questa realtà. Con questo non dico, sia ben chiaro, che lo studente liceale uscente debba avere le capacità per poter fare il programmatore o l’informatico a tempo pieno, ma dovrebbe, come minimo, avere le basi pratiche e teoriche quantomeno per valutarne concretamente l’ipotesi.
Sia ben chiaro, però, che questa da me espressa non rappresenta affatto una soluzione, quanto piuttosto una miglioria da dover fare: se volessimo davvero risolvere il problema del sistema scolastico, infatti, bisognerebbe abbatterlo e ricostruirlo da zero.
Cosa che, ovviamente, non possiamo fare con facilità.