In un clima di confusione collettiva come quello in cui la pandemia da COVID-19 ci ha posti, è lecito porsi domande, seppur con preoccupazione, riguardo la nostra condizione, le nostre azioni e il futuro che ci aspetta. D’altronde, questa condizione è nuova per tutti: non potendo uscire, o comunque svolgere la vita abituale, è stato necessario ripensare le proprie giornate.
Le attività dei cittadini si sono spostate nella sfera privata, dando maggiore spazio alle esigenze personali e ai beni materiali, spesso mettendo in secondo piano la comunità. Ciò che preoccupa è che questa tendenza, assolutamente giustificabile, rappresenti una fortissima minaccia alla democrazia così come la conosciamo: è sufficiente guardare i paesi a noi vicini per rendercene conto. Ungheria, Polonia e Slovacchia, per quanto membri della liberale Unione Europea, sono riusciti a trasformare l’emergenza sanitaria in un astuto alibi per la prevaricazione governativa sui diritti individuali.
E per quanto speranzosi e ottimisti si possa essere, è difficile pensare che, ad emergenza conclusa, ritornerà l’equilibrio tra i poteri. La popolazione, soprattutto davanti ad una crisi così inaspettata, è disorientata, e si affida a chi la governa, perdonando con maggiore facilità eventuali errori dei loro leader proprio per la natura straordinaria ed emergenziale della situazione.
Se i cittadini si abituano, e rimangono disponibili come ora, a cedere libertà e riservatezza per salvaguardare quel terrificante bisogno di sicurezza, che certo non si fermerà con il termine dell’emergenza, allora il timore è quello di uscirne con una democrazia fortemente compromessa. Ma il risultato di questa assuefazione all’estensione dei poteri governativi è il rischio concreto che il potere decisionale si concentri in ancora meno mani, riducendo la presenza degli organi di controllo e delle innumerevoli rappresentanze, quasi ritenute fastidiosa. Si rischia un nuovo paradigma per la struttura statale, basata sulla relazione diarchica tra il governo e gli esperti.
Certo, è solo un timore, ma è difficile pensare ad un futuro post-pandemico con gli stessi cari principi di società aperta, liberale e critica. Anzi, diventa quasi utopico come pensiero in una nazione dove, solo qualche mese prima dell’emergenza, qualche noto individuo invocava i pieni poteri acclamato da una vastissima massa di nostalgici e immemori. L’iniziativa, vista nei paesi sopra citati, atta a minare la democrazia e lo stato di diritto, potrebbe essere una soluzione ritenuta attraente anche da altri paesi europei, tra cui il nostro.
La tentazione è comprensibilmente alta, e per resistervi è necessario un forte impegno istituzionale, nonostante l’emergenza, a rimanere entro gli argini costituzionali: d’altronde, nella loro saggezza, i padri costituenti avevano previsto l’arrivo di momenti duri e la possibilità, o forse addirittura la necessità, di rendere elastici e bilanciabili i principi consacrati nella Carta. Bisogna resistere, come diceva qualcuno all’inizio della quarantena, per garantirci un futuro migliore.
A questo scopo, bisognerebbe ricordare a tutti coloro che gridano alla scarsa utilità parlamentare, essendo i decreti governativi supportati dall’opinione e dal lavoro degli esperti, che il dibattito nel parlamento funge, ora più che mai, da garanzia simbolica della libertà e della centralità dei cittadini. Sulla stessa base, bisognerebbe sensibilizzare ad una maggiore attenzione nella censura: per quanto doveroso, attraverso qualunque mezzo, stigmatizzare coloro i quali diffondono notizie di dubbia autenticità, è necessario resistere alla tentazione di silenziare tramite questa scusa i contrari, i critici o chi la pensa diversamente. O spostandoci sul controllo degli spostamenti, per quanto utile a prevenire o addirittura a frenare il contagio, la tecnologia deve trovare il giusto equilibrio tra efficacia e diritto a non essere schedati.
Ma soprattutto, dobbiamo, tutti quanti, resistere alla tentazione di trovare nell’autarchia una soluzione al problema: anzi, soprattutto guardandoci al passato e agli ultimi settant’anni, la pace e la tutela dei diritti sarà assicurata da un maggior legame tra i popoli europei, non certo dalla loro divisione.
Non è la prima volta che le democrazie vengono minate nella loro stabilità, anzi: se guardiamo alle grandi crisi di questo secolo, tutte hanno messo in discussione i fondamenti democratici della globalizzazione, della libertà per il libero movimento di idee, persone e merci. Nel 2001 abbiamo visto l’apparizione del terrorismo islamico, nel 2008 abbiamo osservato la fragilità del sistema capitalistico, dal 2011 in poi abbiamo assistito alla crescita dei sovranismi, e delle ideologie indirizzate alla chiusura, su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico. Nel 2020 stiamo subendo la violenza di un nemico invisibile, che da minaccia sanitaria a breve passerà ad essere una catastrofe economica globale.
Sono le azioni che determinano il risultato: se da un lato limitare le libertà personali per contenere il diffondersi dei contagi da COVID-19 è giustificato e necessario, dall’altro sfruttare l’epidemia come alibi per l’imposizione di poteri speciali non lo è affatto.
Ricordiamocela sempre questa semplice differenza, perché potrebbe non essere chiara a tutti.