In una sera come molte altre, dopo aver speso la gran parte della giornata immerso nei miei studi, mi misi a pregare, come era mio solito, prima di preparare il pasto. Già da qualche giorno avevo sentito nel cuore che ero pronto ad intraprendere la via della luce e, con fervore e coraggio, implorai in preghiera di mostrarmi la via. Ecco allora che una tempesta furiosa si scatenò al di fuori della mia umile dimora, e un suono di trombe risuonò nei cieli. Dinanzi a me si manifestò una donna angelica, adornata di un abito celeste ornato di dodici stelle scintillanti. Nella mano destra ella teneva una tromba dorata, e nella sinistra una missiva sacra sigillata con la chiave dell’universo.
E mi fu detto, “Sei certo della tua volontà? Rispondi dunque con sincerità”. Confermato il mio impegno, l’angelo proclamò, “Ecco, il giorno seguente sarai chiamato a partire per un cammino lungo sette giorni, al fine di raggiungere la Verità.”
Con tono solenne, l’angelo proseguì, “Rifletti profondamente sulla verità delle tue intenzioni, poiché l’uomo spesso scambia ciò che desidera per ciò di cui ha realmente bisogno. Chiunque segua questo cammino per ambizione personale, perderà inevitabilmente se stesso. Questo cammino non è per cuori fragili né per animi egoisti. La tua esistenza personale sarà annientata, e sostituita da una missione divina più alta. Ogni tua azione sarà guidata dal servizio a cui hai prestato giuramento, non dal tuo desiderio. La tua vita diverrà una luce di verità, una manifestazione della volontà divina sulla terra”.
E, dopo aver pronunciato queste parole, l’angelo svanì come l’ultimo chiarore del sole. E io, turbato da onde di paura, dubbio, curiosità e determinazione, mi trovai immerso in grande agitazione. Avevo invocato una guida, e una guida mi era stata concessa. Riflettei sul motivo per cui avevo scelto di intraprendere la via della luce. Era chiaro che il mio cuore bramava conoscenza, ma compresi che la vera saggezza non risiede soltanto nell’acquisizione di segreti divini, ma nel loro impiego per un bene supremo. Il tumulto dentro di me mi condusse a comprendere che accettare il cammino non significava semplicemente rinunciare alla mia individualità, ma abbracciare una missione di trascendenza. E così, illuminato dalla chiarezza della verità, la mia determinazione fu rinvigorita.
Al levar del sole, con passo deciso e cuore colmo di timore e speranza, lasciai la mia umile dimora e iniziai il cammino che mi era stato prescritto.
Passeggiando in una foresta antica, i miei occhi si posarono su una visione straordinaria: immerso tra il fogliame e i fiori, un uomo apparve. La sua figura si innalzava dalla terra fino a sfiorare il cielo stesso, avvolto in un manto di porpora che sembrava ardere di una luce sovrannaturale. Il suo capo, che sembrava scomparire misteriosamente nell’infinito, era posta una fascia di iniziato. Lì, davanti ad un altare cubito su cui erano riposti simboli sacri, egli stava eretto come un pilastro tra i mondi, la mano destra puntata verso i cieli eterni, la sinistra verso la terra profonda. Sotto il manto regale, indossava una tunica candida, cinta da un serpente che divorava la propria coda. Il suo volto, irradiato da una luce divina, era sereno e luminoso.
Mi guardò. E in quell’istante, quando i suoi occhi si posarono sui miei, sentii che la sua visione penetrava nei recessi più profondi della mia anima: mi trovai riflesso in lui, come uno specchio d’argento puro, e nei suoi occhi intravidi me stesso, come fossi un’ombra dentro un sogno. Una voce possente, che risuonava come un tuono sommesso, parlò allora dentro di me: “Ammira: questo è il grande mago, il ponte tra il cielo e la terra, colui che domina i quattro elementi che plasmano l’universo.” Queste parole non erano pronunciate dalle labbra del mago, ma sembravano disseminate dalla sua essenza, riverberando in ogni fibra del mio essere. Tremavo alla profondità dei misteri che toccava, ed ero talmente in trepidazione che ad un certo punto mi sembrò non vi fosse nulla davanti a me se non il cielo azzurro. Ma dentro di me si aprì una finestra, attraverso la quale potevo vedere cose ultraterrene, e sentire parole ultraterrene.
E poi scorsi un altro uomo.
Un povero, che si trascinava a fatica lungo una strada polverosa, attraverso una pianura deserta, sotto i raggi cocenti del sole. Era stanco, zoppo, e i suoi occhi erano vacui, fissi, con uno sguardo e un sorriso appena accennati. Non sapeva dove andava. Ma sognava, perduto nei suoi sogni chimerici che si ripetevano in un cerchio senza fine. Povero: il suo berretto da stolto era messo al contrario, le sue vesti strappate e lacere. All’improvviso, una lince selvaggia, con occhi che brillavano di una luce feroce, gli balzò addosso da dietro, ferocemente. Lo stolto inciampò, quasi cadde, ma continuò a trascinarsi, tenendo sempre sulla spalla una borsa che conteneva cose inutili che, nella sua ottusità, portava con sé ovunque andasse. Davanti a lui, un crepaccio attraversava la strada, un abisso profondo che attendeva lo sciocco vagabondo. D’un tratto, un enorme coccodrillo emerse dal precipizio, strisciando, con la bocca spalancata, pronto a divorarlo.
E di nuovo, sentii la stessa voce sussurrarmi: “Questo è lo stesso uomo”.
Ero confuso, incredulo, come in preda a un sogno febbrile. Mi avvicinai a quell’uomo, e con una strana urgenza gli chiesi cosa contenesse la sua borsa. Non compresi il motivo della mia domanda, eppure la posi. Egli mi fissò con occhi vacui, il silenzio gravava tra noi come una coltre. Poi, finalmente, con voce spenta, mi rivelò che dentro la borsa portava i quattro simboli sacri. Li aveva con sé, ma era evidente che da tempo ne aveva dimenticato il significato. Sebbene fossero suoi, non ne conosceva più l’uso; il loro potere era ormai spento, rinchiuso in quella borsa, un’ombra del loro antico splendore.
Confuso e rapito da queste visioni opposte, proseguii il mio cammino fino al tempio al quale ero stavo convocato per il matrimonio. Giunsi all’ingresso, e sollevai il primo velo, varcando la soglia della corte esterna del Tempio dell’Iniziazione. Nella penombra, scorsi la figura maestosa di una donna seduta un un alto trono tra due pilastri del tempio, uno candido bianco, l’altro di profondo nero. Un’aura di mistero la avvolgeva e la circondava. Sul suo abito verde, ricoperto di simboli sacri che brillavano come stelle lontane, il diadema d’oro splendeva, sormontato da una luna a due corna. Sulle sue ginocchia, teneva due chiavi incrociate e un testo sacro aperto. Dietro di lei, tra i due pilastri, pendeva un velo ricamato con foglie verdi e frutti di melograno.
“Per entrare nel Tempio, è necessario sollevare il secondo velo, e attraversare le due colonne. Perché ciò sia possibile, è necessario possedere le chiavi, leggere il libro, e comprendere i simboli. Siete voi in grado di compiere tale impresa?”, mi chiese una voce lontana.
“Senza dubbio alcuno, desidererei ardentemente poterlo fare”, risposi con fervore.
Allora la luce si fece tenue e delicata, e la donna rivolse il volto verso di me, scrutandomi negli occhi senza proferire parola. Un brivido misterioso mi percorse il corpo, come un’onda d’oro che attraversa le profondità dell’anima. I toni in sol vibravano nel mio spirito, una fiamma ardente si accese tra il mio cuore e il mio bacino, e compresi che lei mi parlava senza parole, dicendo: “Questa è la sala della saggezza. Nessuno può rivelarla, nessuno può nasconderla. Come un fiore deve sbocciare e crescere nella tua anima. Se desideri piantare il seme di questo fiore nel tuo cuore, impara a discernere il vero dal falso. Ascolta solo la Voce che non ha suono, osserva solo ciò che è invisibile, e ricorda che il Tempio e il suo ingresso, il mistero e l’iniziazione, sono dentro di te stesso”.
Svenni, e mi apparve allora una visione inaspettata. Un cerchio, non dissimile da una corona intrecciata di arcobaleni e fulmini, vorticava dal cielo alla terra con una velocità stupefacente, accecandomi con la sua brillantezza. E in mezzo a questa luce e a questo fuoco, sentii musica e canti sommessi, tuoni e il rombo di una tempesta, il rombo di montagne che cadevano e terremoti. Il cerchio vorticava con un rumore terrificante, toccando il sole e la terra, e, al centro, vidi la figura nuda e danzante di una bella giovane donna, avvolta da una sciarpa tanto leggera tanto trasparente, che teneva in mano una bacchetta pura e bianca. Nel fragore, ai margini del cerchio cominciarono a manifestarsi le quattro bestie dell’Apocalisse: una con il volto di un leone, un’altra con il volto di un uomo, la terza con il volto di un’aquila, e la quarta con il volto di un toro.
Poi il leone e il toro si voltarono verso di me, e la visione scomparve all’improvviso come era apparsa. Un docile silenzio mi cadde addosso.
“Cosa significa?”, mi domandai tanto meravigliato quanto confuso.
“Ti ho mostrato il mondo, così com’è davvero”, disse la voce, “ma questa sua immagine può essere compresa solo dopo essere entrati nel Tempio. Il mondo è accerchiato dal Tempo, tra i quattro principi. Ma tu non lo comprendi, perché vedi ancora il mondo fuori da te: devi imparare a vederlo in te stesso, e allora comprenderai l’essenza infinita, nascosta in tutte le forme illusorie. Devi comprendere che il mondo così come lo conosci è solo uno dei tanti aspetti del mondo infinito, e che le cose e i fenomeni non solo altro che geroglifici, raffigurazioni, di idee più profonde”.
Improvvisamente, mi trovai immerso in un’atmosfera totalmente diversa, risvegliato da un cinguettio soave. Luce. Ho sentito il respiro della primavera e, accompagnando la fragranza delle viole e dei mughetti, ho udito un tenero canto. Che pace, che felicità! I rivoli mormoravano, le cime degli alberi frusciavano, le erbe sussurravano, innumerevoli uccellini cantavano in coro e le api ronzavano laboriose. Dappertutto sentivo il respiro della Natura, viva e gioiosa. Il sole splendeva teneramente e dolcemente, e una dolce nuvoletta bianca pendeva sul bosco. Notai che in mezzo al prato verde dove fiorivano le primule, vi era l’imperatrice seduta su un trono coperto di edera e lillà. Dietro di lei si alzavano due ali di neve, e nelle mani teneva uno scettro. Tutto intorno, sotto il dolce sorriso dell’imperatrice, fiori e boccioli aprivano le loro foglie verdi e rugiadose: l’intero vestito ne era ricoperto, come se ogni fiore appena sbocciato vi si riflettesse o vi si incidesse, diventando così parte della sua veste. Sul suo trono marmoreo, il segno di Venere, la dea dell’amore, era cesellato.
Nella mia umiltà, curioso quanto titubante, feci un passo verso di lei, e le chiesi: “Regina della vita, perché tutto intorno a te è così luminoso e gioioso? Non conosci il grigio e stanco autunno, il freddo e bianco inverno? Non conosci la morte e i cimiteri con le tombe nere, umide e fredde? Come puoi sorridere così gioiosamente ai fiori che si schiudono, quando tutto è destinato alla morte, anche ciò che non è ancora nato?”
E la regina sorrise ancor di più. Fu sotto l’influenza di quel forte sorriso che sentii improvvisamente aprirsi nel mio cuore un fiore di chiara comprensione.
Notai allora in lontananza una pianura di ghiaccio e, all’orizzonte, una catena di montagne innevate. Apparve una nuvola, che cominciò a scendere fino a coprire un quarto del cielo, e poi due ali infuocate si spalancarono nella nube. Il messaggero era arrivato. Alzò una tromba, e soffiò con toni tanto vibranti quanto potenti: la pianura tremò in risposta a lui e le montagne ne fecero risuonare l’eco. Una dopo l’altra, le tombe si aprirono nella pianura, e ne uscirono uomini e donne, vecchi e giovani e bambini. Tendevano le braccia verso il messaggero dell’imperatrice, e nelle tombe che si aprivano notai le rose dorate che si aprivano e la cui fragranza sembrava essere trasportata dalle braccia tese.
E allora capii il mistero della nascita e della morte. Commosso, mi scese una lacrima: dopo aver imparato i primi tre numeri, mi fu concesso di comprendere la Grande Legge del Quattro. E così come il punto si evolve a triangolo e poi quadrato, io continuai il mio percorso.
Vidi allora l’imperatore, imponente, su un alto trono di pietra, ornato da quattro teste di montone. Sulla sua testa brillava un elmo dorato. La sua barba bianca ricadeva su un mantello color porpora. In una mano teneva una sfera, simbolo del suo possesso, e nell’altra uno scettro a forma di croce egizia, segno del suo potere sulla nascita.
“Io sono la Grande Legge”, disse l’imperatore con tono autoritario. “Io sono il nome di Dio. Le quattro lettere del suo nome sono in me, e io sono in tutti. Io sono nei quattro principi. Io sono nei quattro elementi. Io sono nelle quattro stagioni. Io sono nei quattro punti cardinali. Io sono nei cuori, nei fiori, nelle picche e nei quadri. Io sono l’inizio, l’azione, il completamento e il risultato. Per chi sa come vedermi, non ci sono altri misteri sulla terra.”
E continuò: “Io sono il grande pentacolo. Come la terra racchiude in sé il fuoco, l’acqua e l’aria; come la quarta lettera del Suo nome racchiude in sé le prime tre e diventa essa stessa la prima, così il mio scettro racchiude il triangolo completo, e porta in sé il seme di un nuovo triangolo.”
E concluse: “Io sono il Logos nel suo aspetto completo, e l’inizio di un nuovo Logos”.
Tremavo alla saggezza delle sue parole. E mentre l’imperatore parlava, il suo elmo dorato brillava sempre di più, così come anche la sua armatura d’oro sotto il suo mantello. La sua gloria era troppa e nella mia modestia abbassai gli occhi, incapace di sostenerla. Ma quando provai a sollevarli di nuovo, una vivide luce di fuoco radiante era davanti a me, e mi prostrai, e feci obbedienza al Verbo del Fuoco. Non appena ho percepito il sole, ho capito che esso stesso è l’espressione della Parola del Fuoco, nonché segno dell’imperatore.
Il grande luminare brillava con un calore intenso sulle grandi teste dorate dei fiori solari. E vidi un ragazzo nudo, con la testa cinta di rose, che galoppava su un cavallo bianco e sventolava un vivo stendardo rosso. Per un momento chiusi gli occhi, e alla loro riapertura notai che ogni raggio del sole era lo scettro dell’imperatore e portava la vita. Notai inoltre come sotto la concentrazione di questi raggi, i mistici fiori delle acque si aprivano e ricevevano i raggi si sé, e come tutta la Natura nascesse costantemente dall’unione di due principi.
In questa visione di continua creazione, apparve allora davanti ai miei occhi un carro trainato da due sfingi maestose, una bianca e l’altra nera. Quattro pilastri sostenevano un baldacchino blu, sul quale erano sparse stelle a cinque punte. Il conquistatore, rivestito di un’armatura d’acciaio, stava sotto questo baldacchino a guidare le sfingi. Impugnava uno scettro, alle cui estremità c’erano un globo, un triangolo, e un quadrato. Un pentagramma dorato scintillava nella sua corona. Sulla parte anteriore del carro era rappresentata una sfera alata, e sotto di essa il simbolo del lingam mistico, a significare l’unione di due principi.
Mi venne detto che tutto in questo quadro aveva un significato: era infatti la Volontà, armata di Conoscenza. Ma forte è la differenza tra il desiderio di ottenere, e l’ottenimento. L’uomo sul carro si credeva un conquistatore prima di aver conquistato davvero, ed era convinto che la vittoria dovesse arrivare al conquistatore.
Una voce allora mi spiegò: “Egli controlla le sfingi con il potere della Parola, ma la tensione della sua volontà può venire meno, e allora la Parola perderà il suo potere. La parola perduta potrebbe portarlo ad essere divorato dalle sfingi. Ebbene, egli è il conquistatore, non per amore, ma per fuoco e per spada, un conquistatore contro il quale i conquistati possono insorgere. Vedete dietro di lui le torri della città conquistata? Forse la fiamma della rivolta arde già lì.”
“E non sa che la città vinta per mezzo del fuoco e della spada, è la città all’interno della sua stessa coscienza, che il carro è in lui stesso e che le sfingi assetate di sangue, anch’esse uno stato di coscienza interiore, osservano ogni suo movimento. Ha esternato tutte queste fasi della sua mente e le vede solo al di fuori di sé: questo è il suo errore. È entrato nella corte esterna del Tempio della Conoscenza, ma pensa di essere stato nel tempio stesso. Ha considerato i rituali delle prime prove come un’iniziazione, e ha scambiato per dea la sacerdotessa che ne sorvegliava la soglia. Ecco perché gli attendono grandi pericoli: a causa di questo equivoco”.
“Tuttavia”, continuò a spiegarmi la voce, “è possibile che anche nei suoi errori e nei suoi pericoli, si nasconda la Grande Concezione. Egli cerca di conoscere e, forse, per raggiungere questo obiettivo, sono necessari errori, pericoli, e persino fallimenti. Dovete comprendere infatti che questo è lo stesso uomo che avete visto unire il Cielo e la Terra, e di nuovo camminare attraverso un deserto caldo fino a un precipizio”.
Davanti a me si estendeva una pianura desolata, illuminava da una luna piena che guardava in basso come in un’esitazione contemplativa. Sotto la sua luce vacillante, le ombre vivevano la loro vita particolare. All’orizzonte, vidi delle colline azzurre, e su di esse si snodava un sentiero che si estendeva tra due torri grigie lontane in lontananza. Ai lati del sentiero, un lupo e un cane sedevano vicini, ululando alla luna. Per qualche ragione a me tutt’ora sconosciuta, in quel momento mi tornò in mente che i cani credono ai fantasmi. Curioso. Un’aragosta nera strisciò fuori dal fiume verso la sabbia, anch’essa venerando la luna con le chele alzate al cielo. Cadeva una rugiada pesante e fredda.
Paura.
Avvertivo la presenza di un mondo misterioso, un mondo di spiriti ostili, di cadaveri che uscivano dalle tombe, di fantasmi che si lamentavano. E in questa pallida luce lunare, ecco, mi sembrava di sentire la presenza di apparizioni: qualcuno mi osservava da dietro le torri, e sapevo che era pericoloso voltarsi.
Poi il silenzio. Continuai il mio cammino fino a raggiungere un giardino fiorito in una valle verde, sempre circondata da dolci e morbide colline blu. Nel giardino vidi un uomo e una donna nudi, entrambi bellissimi: si amavano, e il loro amore era il servizio alla Grande Concezione, una preghiera e un sacrificio. Attraverso di esso comunicavano con Dio. Attraverso di esso ricevevano le più alte rivelazioni. Alla sua luce giungevano le verità più profondo. Il mondo magico apriva le sue porte: i tre regni della natura e i quattro elementi li servivano. Attraverso il loro amore videro il mistero dell’equilibrio del mondo, e che essi stessi erano un simbolo e un’espressione di questo equilibrio.
Due triangoli si unirono in una stella a sei punte. Due magneti si fusero in un’ellissi. Erano due. Il terzo, il futuro sconosciuto. Non erano due, eran tre! I tre facevano uno.
La donna guardava il mondo come estasiata dalla sua bellezza, e dall’albero su cui maturavano frutti d’oro vidi strisciare un serpente. Questo sussurrò parole a me sconosciute all’orecchio della donna, e la vidi ascoltare, inizialmente sorridendo con sospetto, poi con curiosità, ed infine con gioia. Poi andò a parlare all’uomo. Lui sembrava ammirare solo lei, e sorrideva con un’espressione di gioia e simpatia per tutto ciò che lei gli diceva.
La voce tornò a parlarmi: “Questo che vedi è un quadro della tentazione e della caduta. Comprendi in cosa consiste la caduta? Comprendi la sua natura?”
“La vita è così bella”, dissi, “e il mondo è così bello, e quest’uomo e questa donna volevano credere nella realtà del mondo e di loro stessi. Volevano dimenticare il servizio, il Giuramento che avevano fatto, e prendere dal mondo ciò che esso può dare. Così hanno fatto una distinzione tra loro, e il mondo. E il mondo si è separato da loro, e il mondo è diventato ostile”.
“Vero”, affermò la voce, “l’eterno errore degli uomini è che vedono la caduta nell’amore. Ma l’amore non è una caduta, ma piuttosto un librarsi sopra un abisso. E quanto più alto è il volo, tanto più bella e seducente appare la terra.”
Continuò: “Ma la saggezza, che striscia sulla terra, consiglia di credere nella terra e nel presente. Questa, è la tentazione. E l’uomo e la donna vi hanno ceduto. Abbandonarono i regni eterni e si sottomisero al tempo e alla morte. L’equilibrio è stato alterato. Il regno celeste divenne loro invisibile, e i suoi abitanti con esso. Smisero di vedere i colori per la loro vera natura, il volto di Dio cessò di rivelarsi a loro, e tutte le cose apparvero capovolte. Questa caduta, questo primo ‘peccato dell’uomo’, si ripete in perpetuo, perché l’uomo continua a credere nella sua separatezza e nel presente. Ma la verità è che il tempo non esiste, e solo attraverso grandi sofferenze ci si può liberare dal suo controllo e tornare all’eternità. Lasciare le tenebre e tornare alla luce.”
Forte, forte il cuore iniziò a battermi. Un tumulto agirò la mia mente. Un tremito ardente mi percorse a ondate tutto il corpo. Che strana emozione. Sentii di essere circondato da misteri portentosi. E subito, raggi di luce penetrarono il mio essere e illuminarono molte cose fino a quel momento nell’oscurità, la cui esistenza io nemmeno avevo sospettato. Veli svanirono di cui prima ero stato inconsapevole. Voci mi parlarono, calme ma aguzze. E all’improvviso tutta la mia precedente conoscenza assunse un significato nuovo e diverso. Scoprii correlazioni inaspettate in cose che fino ad allora avevo pensato estranee l’una all’altra: oggetti distanti e diversi l’uno dall’altro apparivano vicini e simili, fatti del mondo si dispiegarono davanti ai miei occhi secondo un nuovo schema. Ora mi era chiaro: vedevo l’albero.
Nel cielo apparve un’enorme stella, circondata da sette stelle più piccole a tenerle compagnia. I loro raggi si mescolarono, riempiendo lo spazio di incommensurabile radiosità e splendore. Comparve allora Plotino, e compresi di aver vissuto il suo cielo.
Mi appoggiò la sua mano sulla spalla, e mi disse: “Dove tutte le cose sono diafane, e nulla è oscuro e resistente, ma tutto è evidente a tutti internamente e dappertutto. Perché la luce ovunque incontra la luce, poiché ogni cosa contiene tutte le cose in sé, e di nuovo vede tutte le cose in un’altra. Così che tutte le cose sono ovunque, e tutto è tutto. Ogni cosa allo stesso modo è tutto. E lo splendore lì è infinito. Perché ogni cosa lì è grande, poiché anche ciò che è piccolo è grande. Anche il sole, che è lì, è tutte le stelle, e di nuovo ogni stella è il sole e tutte le stelle. In ciascuna, tuttavia, predomina una proprietà diversa, ma allo stesso tempo tutte le cose sono visibili in ciascuna. Anche il movimento lì è puro, perché il movimento non è confuso da un motore diverso da esso. Anche la permanenza non subisce alcun cambiamento della sua natura, perché non è mescolata con l’instabile. E il bello lì è bello, perché non sussiste nella bellezza. Ogni cosa, inoltre, è stabilita, non come in una terra straniera, ma la sede di ogni cosa è ciò che ogni cosa è. Né la cosa stessa è diversa dal luogo in cui sussiste. Perché il suo soggetto è l’intelletto, ed è essa stessa intelletto. In questa regione sensibile, quindi, una parte non è prodotta da un’altra, ma ogni parte è solo una parte. Ma lì ogni parte procede sempre dal tutto, ed è allo stesso tempo ogni volta parte e il tutto. Perché appare davvero come una parte, ma da colui la cui vista è acuta, sarà vista come un tutto.”
Senza permettermi di ribadire, continuò: “Dove non c’è parimenti stanchezza della visione che è lì, non c’è alcuna pienezza di percezione che possa porre fine all’intuizione. Perché non c’era alcuna vacuità che, una volta riempita, potesse far cessare l’energia visibile. Né questa è una cosa, ma quella un’altra, così da far sì che una parte di una cosa non sia amichevole con quella di un’altra. Dove la vita è saggezza, una saggezza non ottenuta tramite un processo di ragionamento, perché il tutto è sempre stato, e non è in alcun modo carente, tanto da essere in mancanza di indagine. Ma è la prima saggezza, e non deriva da un’altra”.
Compresi allora che tutta la radiosità qui era pensiero, e i colori cangianti erano emozioni. E ogni raggio, guardandolo dentro, si trasforma in immagini, simboli, voci e stati d’animo. E vidi che non c’era nulla di inanimato, ma tutto è anima, tutto è vita, tutto è emozione, tutto è immaginazione. E sotto le stelle radiose accanto al fiume azzurro, vidi una giovane ragazza nuda e bella. Si chinò su un ginocchio e verso acqua da due recipienti, uno d’oro e uno d’argento. Un uccellino in un cespuglio vicino sollevò le ali e si preparò a volare via. Compresi allora di aver incontrato l’anima della Natura.
Riprese la voce: “La natura sogna, improvvisa, crea mondi. Impara a unire la tua immaginazione alla Sua, e niente ti sarà mai impossibile. Dimentica il mondo esterno: cercalo in te stesso. Allora, e solo allora, troverai la luce. Ma ricorda: a meno che tu non abbia perso la Terra, non troverai mai il Paradiso. È infatti impossibile vedere allo stesso tempo sia in modo sbagliato che in modo giusto”
Fu con queste profonde parole di riflessione, che giunsi al grande tempio, dove il Maestro era seduto su un trono dorato posto su una piattaforma viola. Indossava la veste di un sommo sacerdote, con una tiara dorata e teneva una croce dorata a otto punte. Due iniziati si inchinarono al suo cospetto, e a loro disse: “Cercato il sentiero, non cercato il conseguimento. Cercate il sentiero dentro di voi. Non aspettatevi di sentire la verità dagli altri, né di vederla, o leggerla nei libri. Cercate la verità in voi stessi, non fuori di voi. Aspirate solo all’impossibile e all’inaccessibile. Aspettatevi solo ciò che non sarà. Non sperate in me, non cercate me, non credete che io sia fuori di voi”.
Continuò: “Guardate dentro la vostra anima, e costruite una torre di sinistra, con cui potrete ascendere al cielo. Non credete nei miracoli esteriori, aspettatevi miracoli solo dentro di voi. Fate attenzione a credere in un mistero terreno, in un mistero custodito dagli uomini: perché i tesori che devono essere custoditi sono vuoti. Non cercate un mistero che può essere nascosto dagli uomini: cercate il mistero in voi. E soprattutto, evitate quelle torri costruite per preservare i misteri e fare un’ascesa al cielo tramite scalini di pietra: e ricordate che non appena gli uomini costruiscono una torre di questo genere, iniziano a discutere sulla posizione della cima.”
Concluse, solennemente, affermando: “Il sentiero è in voi stessi, e la verità è in voi stessi, e il mistero è in voi stessi”.
Scorsi all’estero un’alta torre, che si estendeva dalla terra al cielo: la sua cima, coronata d’oro, si estendeva oltre le nuvole. Tutt’intorno regnava la notte nera, e rimbombava forte il tuono. Improvvisamente i cieli si aprirono, un tuono scosse tutta la terra, e un fulmine colpì la cima della torre e abbatté la corona d’oro. Una lingua di fuoco sbucò dal cielo, e l’intera torre si rimpì di fuoco e fumo. Poi, vidi i costruttori della torre cadere a capofitto al suolo.
Allora la voce disse: “La costruzione della torre fu iniziata dai discepoli del grande Maestro per avere un promemoria costante dell’insegnamento del Maestro che la vera torre deve essere costruita nella propria anima, che nella torre costruita dalle mani non possono esserci misteri, che nessuno può salire al cielo calpestando gradini di pietra. La torre dovrebbe avvertire le persone di non crederci, dovrebbe servire come promemoria del tempio interiore e come protezione contro quello esteriore. Dovrebbe essere un faro, in un luogo pericoloso dove gli uomini sono spesso naufragati e dove le navi non dovrebbero andare. Ma a poco a poco, i discepoli dimenticarono il vero patto del Maestro, e ciò che la torre simboleggiava, e iniziarono a credere nella torre di pietra che avevano costruito, e a insegnare agli altri a credere così. Cominciarono a dire che in questa torre vi era potere, mistero, e lo spirito del Maestro, che la torre stessa fosse sacra, e che era stata costruita per il Maestro che verrà secondo il Suo patto e la Sua volontà. E così aspettarono nella torre il Maestro. Altri non ci credevano, o comunque lo interpretavano diversamente. Poi, iniziarono le dispute sui diritti della cima. Iniziarono le liti: il mio Maestro, il tuo Maestro, la nostra torre, la tua torre, questo era quanto si udiva. E i discepoli cessarono di capirsi. Le loro lingue si erano confuse”.
Colsi l’ironia, e risposi: “Avevano cominciato a pensare che questa torre fosse la torre del Maestro, e che la costruisse attraverso di loro e che, in effetti, non solo doveva ma poteva essere costruita fino al cielo”.
“Esatto. E vedi come ha risposto il cielo?”
In risposta a queste parole, mi trovai immerso in una visione di straordinaria bellezza. In mezzo a una pianura verde, circondata da colline azzurre, vidi una donna con un leone. Cinta da ghirlande di rose, che suggerivano una catena magica, e un maestoso simbolo di infinito sopra la sua testa, la donna coprì con calma e sicurezza la bocca del leone, e il leone le leccò obbedientemente la mano di risposta.
Tornò la voce: “Solo l’amore può vincere l’ira. L’odio alimenta l’odio”.
Diceva infatti Zarathustra, “Lasciate che l’uomo sia liberato dalla vendetta: questo è un ponte per me che conduce a una speranza più alta e a un arcobaleno in cielo dopo lunghe tempeste“.
La voce riprese: “Questa immagine mostra quindi il potere dell’unità. L’unità dei desideri, l’unità delle aspirazioni crea un tale potere che ogni forza selvaggia, incontrollata e inconscia viene sottomessa. Anche due desideri, se uniti, sono in grado di conquistare quasi il mondo intero. Ma l’immagine mostra anche il potere dell’infinito, quella sfera di misteri. Perché una coscienza che percepisce il simbolo dell’infinito sopra di sé, non conosce ostacoli, e non può essere contrastata”.
Si fece buio, una notte nera e orribile avvolgeva la terra. In lontananza, una fiamma rossa e minacciosa ardeva. Nel proseguire il mio cammino, mi avvicinavo a una figura fantastica, che si delineava davanti a me ad ogni passo di più. In alto, sopra la terra, appariva il ripugnante volto rosso del Diavolo, con grandi orecchie pelose, barba appuntita, e corna di capra ricurve. Un pentagramma, puntato verso il basso, brillava di luce fosforica tra le corne sulla fronte. Compresi allora il significato di quel simbolo: il pentagramma è immagine dell’uomo, e l’uomo può scegliere se tendere al cielo o alla terra. Due grandi ali grigie da pipistrello erano spiegate dietro la bestia. Sollevò allora un braccio, allargando la sua mano nuda e grassa: nel palmo vidi il segno della magia nera. Nell’altra mano, una torcia accesa tenuta verso il basso emetteva un fumo nero e soffocante. Sedeva su un grande cubo nero, afferrandolo con gli artigli delle sue gambe pelose e bestiali.
Incantenati al cubo, un uomo e una donna, gli stessi uomo e donna che avevo prima visto nel giardino. Ma ora avevano le corna, e code con la punta di fiamma. Ed erano evidentemente insoddisfatti nello spirito. Ed erano pieni di protesta e repulsione.
“Questa è la debolezza”, disse la voce, “un’immagine di falsità e malvagità. Sono lo stesso uomo e la stessa donna che hai visto nel giardino, ma il loro amore cessando di essere un sacrificio è diventato un’illusione. Quest’uomo e questa donna hanno dimenticato che il loro amore è un anello della catena che li unisce all’eternità, che il loro amore è un simbolo di equilibrio, una strada verso l’infinito. Hanno dimenticato che è una chiave per la porta del mondo magico, la torcia che illumina il sentiero più elevato. Hanno dimenticato che l’amore è reale e immortale e lo hanno sottomesso all’irreale e al temporaneo. E ciascuno ha fatto dell’amore uno strumento per sottomettere l’altro a sé stesso: allora l’amore divenne dissenso e li incatenò con catene di ferro al cubo nero della materia, su cui siede l’inganno”.
E allora il Diavolo gridò: “Io sono il male, almeno per quanto il male possa esistere in questo migliore dei mondi. Per vedermi, bisogna essere in grado di vedere in modo ingiusto, scorretto e ristretto. Chiudo il triangolo, i cui altri due lati sono la Morte e il Tempo. L’unica via per uscire da questo triangolo, è renderci conto che non esiste, ma non spetta a me dire come farlo. Perché io sono il male che gli uomini dicono essere la causa di ogni male e che hanno inventato come scusa per tutto il male che fanno. Mi chiamano il Principe della Falsità, e in verità sono il principe delle bugie, perché sono la più mostruosa produzione di bugie umane”.
Dopo queste rivelazioni inquietanti, intrapresi lunghe peregrinazioni in un deserto sabbioso e senza acqua, dove vivevano solo serpenti. In questo ambiente ostile e desolato, appena illuminato dal pallido bagliore dell’alba, incontrai l’eremita. Era avvolto in un lungo mantello, con un cappuccio gettato sulla testa. Teneva un lungo bastone in una mano, e nell’altra una lanterna accesa, nonostante fosse pieno giorno e splendesse il sole.
“Ecco la lanterna di Ermete Trimegistro”, mi disse la voce, “questa è la conoscenza superiore, quella conoscenza interiore che illumina in modo nuovo anche ciò che sembra essere chiaramente noto. Questa lanterna illumina il passato, il presente e il futuro per l’eremita, e apre le anime delle persone e i recessi più intimi dei loro cuori. Il mantello di Apollonio è la facoltà dell’uomo saggio con cui si isola, anche in mezzo a una folla rumorosa: è la sua abilità nel nascondere i suoi misteri, anche mentre li esprime, la sua capacità di silenzio e il suo potere di agire nell’immobilità. Il bastone dei patriarchi è la sua autorità interiore, il suo potere, la sua autostima”.
Era chiaro che la lanterna, il mantello e il bastone fossero i tre simboli dell’iniziazione: sono necessari per guidare le anime oltre la tentazione dei fuochi illusori lungo la strada, in modo che possano andare dritte verso la meta più alta. Chi riceve questi simboli o aspira a ottenerli, si sforza di arricchirsi con tutto ciò che può acquisire, non per sé stesso, ma, come Dio, per deliziarsi nella gioia del dare. Compresi allora che l’iniziazione non era niente altro che un giuramento, la dedizione alla Grande Concezione, una vita di servizio, in cambio di comprensione e conoscenza.
La voce continuò: “La virtù del dare è la base della vita di un iniziato. L’iniziazione unisce la mente umana con la mente superiore, tramite una catena di analogie. Questa catena è la scala che conduce al cielo, la scala di cui ti parlava il patriarca”.
Apparve allora un angelo, in una veste bianca che toccava terra e cielo: le sue ali erano fiamme, e un raggio dorato gli illuminava la testa. Sul petto portava il simbolo sacro del percorso: un triangolo all’interno di un quadrato, un punto all’interno del triangolo. Sulla fronte, un cerchio, simbolo di vita e di eternità. In mano teneva una coppa d’argento, nell’altra una coppa d’oro, e tra queste coppe scorreva un flusso costante e scintillante di tutti i colori dell’arcobaleno. Tuttavia, mi era impossibile determinare da quale coppa, o in quale coppa, questo flusso scorresse. Dietro di lui, il sole sorgeva, annunciando una nuova giornata.
Con grande timore reverenziale, compresi che ero vicino ai miseri ultimi, dai quali non c’è ritorno.
Guardai l’angelo, e i suoi simboli, e le sue coppe, e il flusso arcobaleno tra di esse, e il mio umile cuore umano tremò di paura, e la mia umile mente umana si rimpicciolì per l’angoscia e la mancanza di comprensione.
“Ebbene”, disse la voce, “questo è un mistero che viene rivelato all’iniziazione. L’iniziazione infatti è semplicemente la rivelazione di questo mistero nell’anima. L’eremita riceve la lanterna, il mantello e il bastone in modo che possa portare la luce di questo mistero. Ma vedo tu sei venuto qui impreparato. Guarda, ascolta, e cerca di capire, perché adesso la comprensione è la tua unica salvezza: chi si avvicina al mistero senza una comprensione completa sarà perduto”.
Ero impaurito e titubante all’idea di rischiare la mia esistenza per la comprensione, e non mi sentivo sicuro della mia preparazione. Tuttavia, altrettanto evidente era che non potessi più decidere altrimenti: la precedente versione di me era ormai morta, non avrei mai più potuto vedere il mondo nella stessa maniera. Feci un respiro profondo, accettai la mia sorte, e sorrisi.
La voce allora continuò: “Il nome dell’angelo è Tempo: il cerchio sulla sua fronte è il simbolo dell’eternità e della vita, perché ogni vita è un cerchio che ritorna allo stesso punto in cui è iniziata. La morte è il ritorno alla nascita, e da un punto all’altro sulla circonferenza di un cerchio, la distanza è sempre la stessa, e più è lontano da un punto, più sarà vicino all’altro. L’eternità è un serpente, che insegue la sua coda senza mai prenderla. La coppa a sud è il futuro, la coppa a nord è il passato. Il flusso arcobaleno tra le coppe è il presente. Vedi che scorre in entrambe le direzioni? Questo è il Tempo nel suo aspetto più incomprensibile”.
Ci fu un momento di silenzio, per permettermi di assimilare il concetto, per poi proseguire con il discorso: “Gli uomini pensano che tutto scorra, costantemente, in una sola direzione. Non vedono che tutto si incontra perpetuamente, e che il Tempo è una moltitudine di cerchi rotanti. Comprendi questo mistero, e impara a discernere le correnti contrarie nel flusso arcobaleno del presente”.
Compresi a quel punto che il simbolo sacro sul petto dell’angelo era il simbolo della correlazione tra Dio, l’uomo, e l’universo: il triangolo è Dio, il mondo dello spirito, il mondo delle idee; all’interno del triangolo, un punto, l’anima dell’uomo; e all’esterno, un quadrato, il mondo visibile.
“La coscienza dell’uomo è la scintilla della divinità, un punto all’interno del triangolo dello spirito. Pertanto l’intero quadrato dell’universo visibile è uguale al punto all’interno del triangolo. Il mondo dello spirito è il triangolo dei ventuno arcani maggiori. Il quadrato rappresenta fuoco, aria, acqua e terra, e rappresenta pertanto il mondo. Tutto questo, sotto forma di quattro simboli, è riposto nella borsa dello stolto, che è lui stesso un punto in un triangolo”.
Compresi: un punto senza dimensione contiene un quadrato infinito.
Continuai il mio cammino, assorto in pensieri profondi, meditando sulla visione dell’angelo, e riflettendo su questi simboli e significati. E poi, all’improvviso, sollevando la testa vidi a metà del cielo un enorme cerchio rotante coperto di lettere e simboli qabalistici. Il cerchio girava con una velocità incredibile, e attorno ad esso, cadendo e volando in alto, ruotavano figure simboliche del serpente e del cane. Sopra di esso, sedeva una sfinge immobile. Nelle nuvole, ai quattro angoli del cielo, vidi nuovamente le quattro creature apocalittiche: una con la faccia di un leone, un’altra con la faccia di un toro, la terza con la faccia di un’aquila, e la quarta con la faccia di un uomo. E ognuna di loro leggeva un libro aperto.
“Questa è la ruota della vita”, disse la voce, “il ciclo della vita si ripete incessantemente: tutto finisce e ricomincia, fluendo perpetuamente in un ritmo eterno. Vita e morte sono intrecciate, ricostruendosi e riunendosi continuamente in un circolo infinito. L’esistenza è sempre presente, con ogni momento che segna un nuovo inizio, dove ogni punto è sia al centro che una connessione alla curva infinita dell’eternità”.
Affaticato dal lampeggiare della visione, sprofondai a terra e chiusi gli occhi. Tuttavia, mi sembrava che la ruota continuasse a girare davanti a me, e che le quattro creature continuassero a sedere tra le nuvole, e a leggere i loro libri. All’improvviso, aprendo gli occhi, vidi un cavaliere gigantesco su un cavallo bianco, vestito con un’armatura nera, con un elmo nero e un pennacchio nero. Il volto di uno scheletro si intravedeva da sotto l’elmo. Una mano ossuta reggeva un grande stendardo nero che sventolava lentamente e l’altra teneva una briglia nera ornata di teschi e ossa. E, ovunque passasse il cavallo bianco, seguivano la notte e la morte. I fiori appassirono, le foglie caddero, la terra si coprì di un sudario bianco, apparvero cimiteri. Torri, castelli e città vennero distrutti.
Re nel pieno splendore della loro fama e del loro potere, donne bellissime amate e amabili, sommi sacerdoti investiti del potere di Dio, bambini innocenti: quando videro il cavallo bianco, tutti caddero in ginocchio davanti a lui, stesero le mani in preda al terrore e alla disperazione e caddero a terra per non rialzarsi più. In quel momento, i mondani, che erano ricchi, erano diventati ricchi, e non avevano bisogno di nulla, si resero conto che erano proprio loro i più infelici, miserabili, poveri, ciechi e nudi.
In lontananza, dietro alle due torri, il sole tramontava. Freddo. Un freddo mortale mi avvolse. Gli zoccoli pesanti del cavallo sembravano calpestarmi il petto, e sentivo il mondo sprofondare in un abisso. Ma tutto d’un tratto, qualcosa di familiare, ma visto e sentito debolmente, sembrò provenire dal passo misurato del cavallo. Nei suoi passi si sentiva il movimento della ruota della vita!
Un’illuminazione mi raggiunse e, guardando il cavaliere che si allontanava e il sole che scendeva, compresi che il sentiero della vita consiste nei passi del cavallo della Morte. Il sole tramonta in un punto e sorge in un altro: ogni momento del suo movimento è una discesa in un punto e una salita in un altro. Capii allora che sale mentre affonda, e affonda mentre sale, e che la vita, nascendo, muore, e morendo, nasce.
“Corretto”, disse la voce. “Il sole non pensa al suo tramonto e al suo sorgere. Che cosa sa della terra, dell’andare e venire osservato dagli uomini? Va per la sua strada, sulla sua orbita, intorno a un centro sconosciuto. La vita, la morte, il sorgere e il tramontare: non sapete che tutte queste cose sono pensieri, sogni, e paure dello stolto?”
Venni finalmente in possesso delle chiavi, lessi il libro, compresi la simbologia, e mi fu permesso di sollevare la cortina del tempio e di entrare nel suo sancta sanctorum. E lì vidi una donna, con una corona d’oro e un manto di porpora. Teneva una spada in una mano, e una bilancia nell’altra. Tremai di stupore per il suo aspetto, profondo e misterioso, che mi attirava come un vortice.
“Tu vedi la Verità”, disse la voce. “Su questa bilancia tutto viene pesato. Questa spada è sempre alzata a guardia della giustizia, e nulla può sfuggirle. Ma perché distogli lo sguardo dalla bilancia e dalla spada? Esse elimineranno le ultime illusioni. Come potreste vivere sulla terra senza queste illusioni? Avete voluto vedere la Verità, e ora la vedete! Ma ricordate cosa succede al mortale che vede una Dea”.
Allora vidi un uomo, che soffriva terribilmente, appeso per una gamba, con la testa all’ingù, a un alto albero.
E la voce riprese: “Guarda! Questo è un uomo che ha visto la Verità. La sofferenza attende l’uomo sulla terra che trova la via dell’eternità e la comprensione dell’infinito. È ancora un uomo, ma conosce già molto di ciò che è inaccessibile persino agli dei. E l’incommensurabilità del piccolo e del grande nella sua anima costituisce il suo dolore e il suo Golgotha. Nella sua stessa anima appare il patibolo su cui pende nella sofferenza, sentendo di essere davvero invertito. Ha scelto lui stesso questa strada: per questo ha percorso un lungo cammino, di prova in prova, di iniziazione in iniziazione, di giuramento in giuramento, attraverso fallimenti e cadute. E ora ha trovato la Verità, e conosce sé stesso. Ora sa che è lui che si trova davanti a un altare con simboli magici, e che arriva dalla terra al cielo. Sa che cammina anche su una strada polverosa sotto il sole cocente fino ad un precipizio dove lo aspetta un coccodrillo. Sa che abita con la sua compagna in paradiso all’ombra di un genio benedicente. Sa che è incatenato ad un cubo nero sotto l’ombra dell’inganno. Sa che si erge per un momento come vincitore in un carro illusorio trainato da sfingi. E sa che con una lanterna in pieno sole cerca la Verità in un deserto. Ebbene, ora l’ha trovata”.