Perché queste elezioni europee sono inutili

Quali sono i problemi dell’Europa

Attualmente, com’è anche normale che sia, ci sono grosse problematiche a livello europeo e, generalmente parlando, mondiale. Queste, seppur ricavabili da quelle generalmente riconosciute come tali nella propaganda, non sono realmente discusse: giusto per fare un esempio, l’aumento dell’immigrazione non dovrebbe essere visto come un problema da risolvere, ma anzi piuttosto come una conseguenza di una problematica molto più grave. E lo stesso discorso lo possiamo applicare, in generale, a tutte le caratteristiche di questa grande crisi che sta coinvolgendo il mondo sviluppato. 

Qual è la causa allora? Banalmente, si potrebbe pensare che la causa della crisi che ci sta travolgendo sia la crisi economica, spiegabile con mille motivazioni differenti. Ma è sbagliato, o meglio, a livello globale è sbagliato: ci sono, è vero, delle zone del mondo sviluppato nel quale si sta riscontrando un deficit economico, ma generalmente parlando tutte le nazioni stanno bene.

Si potrebbe pensare allora alla mancanza di lavoro, e già così ci si avvicinerebbe alla radice del problema, senza però toccarla. Infatti, per quanto riguarda la disponibilità di posti di lavoro non ci sono problemi. Il fatto che ci siano tanti disoccupati, e quindi tanto malcontento generale, deriva piuttosto dalla carenza di competenze all’interno dei singoli. Competenze che, non  essendoci, rendono difficile la realizzazione dei progetti delle varie attività e aziende, contribuendo ad ingigantire questa nostra attuale crisi. 

Il vero problema, dunque, non è la mancanza di lavoro o l’immigrazione, bensì la crescente mancanza di competenze tra i cittadini. Mancanza di competenze derivante in primis da un sistema educativo malfunzionante, e secondariamente dalla velocità con cui la globalizzazione ci ha fatto avanzare tecnologicamente. 

Il sistema educativo

Una delle prime cose che si osservano studiando economia è come, nel passato, i popoli più forti e avanzati fossero quelli con il maggior grado di specializzazione tra i cittadini. La politica del “chiunque sa fare tutto”, infatti, funziona solo ed esclusivamente nei sistemi economici di basso livello, e tende in un intervallo di tempo piuttosto breve, a fermarsi su una linea di progresso oltre cui non può più andare.

Il nostro sistema educativo, e per nostro intendo di tutti i paesi coinvolti in questa grande crisi, ci permette di avere una grande infarinatura generale di moltissimi argomenti diversi, più o meno utili nella vita lavorativa, ma senza realmente permetterci di raggiungere un livello di specializzazione tale da poter entrare nel nuovo mondo lavorativo. Giusto per fare qualche esempio, le competenze in ambito informatico, legislativo, comunicativo e finanziario dei neo-diplomati è insufficiente per raggiungere una qualsiasi posizione lavorativa realmente valida. Per tale ragione, è indispensabile studiare per una laurea, che permette di raggiungere, se scelta accuratamente, le competenze in uno di questi settori. E risulta essere comunque troppo poco per avere la possibilità di essere realmente competitivo nel mondo d’oggi. Conseguentemente, quando le aziende andranno a cercare qualcuno da assumere e cercheranno quante più competenze possibili condensate in un unico individuo, rimarranno deluse non riuscendo a trovare quanto ricercato.

La globalizzazione

La globalizzazione, tra tutti i suoi difetti, ne ha uno che spicca maggiormente: aver velocizzato l’avanzamento tecnologico. Chiariamo, l’avanzamento tecnologico ci ha giovato e continua a giovarci sotto molteplici aspetti, ma dal punto di vista lavorativo ci ha inseriti in un mondo alla cui frenesia non eravamo pronti. E continuiamo a non esserne pronti. 

Perché la politica non fa nulla

Una volta, ad ogni categoria di lavoratori corrispondeva una determinata corporazione che, ascoltando le problematiche diffuse, lottava in politica per difenderla, nel bene e nel male. Il corporativismo era un grandissimo salvagente per il popolo italiano, che si sentiva protetto e vicino alla Nazione, ma, come ogni cosa, ha passato il suo periodo d’oro e ora come ora, tristemente, può considerarsi pressoché morta: sono davvero pochi i cittadini che si sentono ancora rappresentati, giusto per fare un esempio, dai sindacati.

Spesso si sente dire che i politici hanno perso il “contatto con il popolo”, ma non è propriamente corretto. Il problema di questa crisi, come detto, è a livello di progresso, con competenze che sebbene vengano richieste dalle aziende in ambito lavorativo, non sono trasmesse ai cittadini nel corso della loro formazione. E in questa condizione storica di continuo cambiamento, il tanto citato dover “stare al passo con i tempi”, un politico non ha le possibilità concrete di poter intervenire: i tempi della politica sono lenti, o almeno, troppo lenti per gestire cambiamenti tanto rapidi e, soprattutto, il peso del politico è sostanzialmente nullo.

La politica è lenta perché formale, piena di passaggi da dover assolutamente eseguire, piena di discussioni per cercare una maggioranza di approvazione alle proposte, maggioranza che spesso si raggiunge cambiando radicalmente la proposta in sé. Ma se a questo dettaglio ci aggiungiamo anche il potere che effettivamente ha un politico, corrispondente a 1/945, comprendiamo velocemente come mai la politica non possa attivamente intervenire in quest’ambito. Travolta da questa stessa onda di innovazione che ci colpisce con sempre più ferocia, la cerchia dei politici si trova inerme a subire il tempo nella speranza di poter intervenire.

Cosa si va a votare

E se qualcuno è convinto che a livello europeo il discorso sia diverso da quello italiano, si sbaglia. Infatti, il sistema elettivo del parlamento europeo è un proporzionale puro, il che significa che qualunque partito italiano superi la soglia dello sbarramento (4% per l’Italia), avrà un certo numero di rappresentanti in parlamento europeo, proporzionalmente al numero di voti ricevuti. Il numero di voti ricevuti, però, non va considerato, a differenza delle elezioni nazionali, in relazione al totale dei voti espressi, quanto piuttosto al totale dei cittadini italiani: questo significa che un partito come la Lega, salito al governo con il 17% dei voti in un’affluenza del 72%, si ritrova a rappresentare realmente a grandi linee il 10% della popolazione italiana e, nell’ottica delle elezioni europee, è un partito parecchio debole.

Inoltre, indifferente come vadano poi le elezioni, l’Italia ha diritto a solo 76 parlamentari europei (è stato aumentato il numero da 73 a 76 nella decisione europea 2018/937 del Consiglio Europeo, che inizierà ad essere applicata già a questa prossima legislatura) : un partito italiano qualsiasi, per avere da solo una maggioranza (nazionale) all’interno del parlamento europeo dovrebbe raggiungere quote di consenso popolare impossibili in democrazia, soprattutto considerando l’enorme disponibilità di partiti candidati a queste elezioni.

Ma i parlamentari europei sono 751 in totale, il che significa che anche se tutti gli eurodeputati italiani fossero d’accordo tra loro (il che è impossibile, data la conflittualità ideologica), avrebbero comunque un misero peso del 10% nelle votazioni delle leggi europee. Se a questo aggiungiamo che il parlamento europeo non ha la funzione di scrivere leggi, quanto piuttosto semplicemente di votarle, capiamo velocemente che slogan tanto pubblicizzati come “andiamo in europa per cambiare tutto” risultano essere molto poveri di sostanza, dato che nessuno partito italiano in europa potrà mai realmente fare la differenza.

Proprio perché le singole nazioni, da sole, dispongono di un cortissimo raggio d’azione all’interno del parlamento europeo, questo si divide in gruppi politici sovranazionali (ENF, AENM, ECR, EPP, S&D, ALDE, Verdi, GUE, EFDD e i non iscritti o NI). Questi gruppi politici, però, non riuscendo a creare delle effettive maggioranze, sono costretti ad allearsi tra loro: e sebbene l’ondata sovranista stia risquotendo successo in tutte le Nazioni europee, difficilmente queste elezioni riusciranno a rendere competivi i gruppi politici conservatori e sovranisti, mantenendo quindi invariati gli equilibri politici all’interno del parlamento europeo.

Ma il parlamento europeo, come descritto sopra, ha un’importanza non ancora chiaramente definita.

Cosa dobbiamo aspettarci

Se vogliamo essere oggettivi, e non ricadere quindi negli influssi della propaganda colorata, non cambierà assolutamente niente in seguito a queste nuove elezioni europee. I problemi che costituiscono l’attuale crisi occidentale rimarrano tali, anzi, forse si aggraveranno, ma ciò che è sicuro è che non verranno risolti dalla politica, né nazionale né tanto meno europea.

Questo non significa che a livello globale siano prese sottomano, non mi si fraintenda: i risultati nazionali di queste elezioni costituiranno un’ottimo referendum sugli andamenti ideologici delle singole nazioni, e questi dati possono modificare gli equilibri politici a livello internazionale. Ma, come detto precedentemente, il consenso dei singoli partiti nazionali per la formazione del parlamento europeo è un dato complessivamente irrilevante.

Se guardiamo le elezioni europee per quello che sono, cioè le assegnazioni dei seggi all’interno del parlamento europeo derivanti da votazioni nazionali, allora ci rendiamo facilmente conto di come siano decisamente sovravvalutate, volutamente o meno, dalla politica.

Un ringraziamento speciale ad un ragazzo un po’ giovane un po’ vecchio, un po’ innovatore e un po’ vintage, che, attraverso le numerose occasioni di conversazione, mi ha lasciato alcuni degli spunti di riflessione da cui questo articolo è nato.