Nel corso dell’ultimo mese, il nostro Paese ha avuto la grande gioia di vedere rovesciarsi completamente quel governo tanto amato dal popolo, andando a creare quel lunghissimo periodo di consultazioni e colloqui. Periodo che, conclusivamente, ha dato vita al governo giallorosso. Tutti abbiamo già letto le varie motivazioni per le quali si è originata questa crisi di governo e, avendo il nuovo già ottenuto la fiducia sia da parte della Camera che da parte del Senato, mi sembra sensato provare ad analizzare con un po’ di attenzione in più quanto successo tra il Papeete e oggi. E se si vuole fare una buona analisi della faccenda, bisogna soffermarsi su colui che, apparentemente, ne esce sconfitto: Matteo Salvini.
Matteo Salvini, oramai ex ministro dell’interno, a fine agosto ha provato a giocare un all-in fallimentare, causato o dalla natura debole della sua mano o dall’imbroglio di qualche altro giocatore. Questo gesto è stato immediatamente dipinto dall’opinione pubblica come un enorme errore, sebbene da mesi una parte consistente del suo elettorato, soprattutto costituito dalla vecchia guardia legata alle esperienze di centrodestra e dai vecchi nordisti, chiedesse di rompere il legame di governo, principalmente per lo scetticismo sulle applicazioni nelle tematiche di economia e autonomie. E con il passare del tempo, anche il grande capitano, mostratosi da sempre convinto del contratto con il Movimento 5 Stelle, si è ricreduto e ha azzardato questa crisi.
Prima di emettere la sentenza al riguardo, però, bisogna definire i propri criteri di giudizio, molto diversi a seconda del giudice, così da dare una corretta interpretazione del periodo che va dalle elezioni europee fino alla scelta di ferragosto da parte del leader della Lega. Innanzitutto, riferendomi in particolare a tutti coloro che schifano questo nuovo inciucio definendolo “governo delle poltrone”, se il criterio è che la scelta di Salvini sia stata un errore perché, indifferente quali fossero i motivi, ora la Lega non è più al governo, o perché non si è riusciti ad ottenere la possibilità di nuove elezioni in autunno, allora bisognerebbe smettere di fingersi convinti che la politica possa essere altro che semplice occupazione di poltrone per incassare stipendi generosi.
La realtà, infatti, è che successivamente alle elezioni di maggio Salvini non aveva di fronte due opzioni, di cui una vincente e una fallimentare: le due opzioni erano entrambe ad altissimo rischio di fallimento. La prima, che oltretutto è quella per la quale si è optato, era di scatenare la crisi di governo sperando di capitalizzare il consenso promesso dai sondaggi, rischiando però di vedere negata la possibilità di tornare ad elezioni e, conseguentemente, perdere tutto. Tra l’altro, il rischio di fallimento era altissima anche qualora fosse stato possibile dare nuovamente la parola agli italiani. La seconda opzione, facilmente metaforicamente spiegabile attraverso il processo di bollitura della rana, consisteva nell’aspettare tempi più adatti ad un potenziale rovescio amministrativo, pazientando e accontentandosi della condizione di alleato, rischiando però di arrivare a fine legislatura ancora nell’attesa.
E Salvini ha bisogno di entrare a Palazzo Chigi. Infatti, è vero che grazie ad una efficacissima comunicazione da parte sua e del suo staff sembrava quasi che prima della crisi fosse il leader della Lega a “dettare l’agenda” del governo, e che quindi potesse continuare a crescere di consensi bloccando gli sbarchi navali, oscurando completamente sia Conte che Di Maio, tanto da essere definito il vero premier. Ma è altrettanto vero che, dati alla mano, alla Lega era stato concesso un solo ministero di peso – quello degli interni, per l’appunto – ed era impensabile che Salvini riuscisse a continuare a far avanzare la sua agenda, sebbene ci fosse riuscito già per un anno abbondante, dal Viminale. Se voleva giocare la sua partita, doveva arrivare a Palazzo Chigi: e l’unica via per riuscirci erano le elezioni.
Realmente parlando, in un anno di governo, oltre a sicurezza e norme importanti ma di poco peso, né Lega né Movimento 5 Stelle hanno concretamente lavorato per la crescita del paese: non si sono, neanche per sbaglio, toccati temi quali politica economica, politica estera o rapporti con l’Unione Europea. E, dopo aver avuto la conferma con le elezioni europee di poter capitalizzare i consensi registrati dai sondaggi, la situazione è peggiorata ulteriormente. Peggiorata, soprattutto, grazie all’inserimento del cosiddetto “terzo partito”, quello del Colle, per il quale Conte si è messo immediatamente al lavoro, trasformando la battaglia da Lega-Movimento a Quirinale-Salvini. D’altronde, in un modo o nell’altro, l’alto consenso nei confronti della Lega ha velocemente allarmato Roma (o meglio il Quirinale e Palazzo Chigi), Berlino e Parigi, facendo scattare immediatamente il piano d’emergenza per isolarla, sia in Italia quanto in Europa: per il primo punto, sarebbe bastato dividere i due alleati di governo, basando la campagna elettorale per le europee sugli attacchi personali e ponendo tatticamente il dissenso del Movimento 5 Stelle alle proposte della Lega; per il secondo, Salvini ci ha pensato da solo, inserendosi in un gruppo parlamentare di minore importanza.
Uno spassoso gioco di specchi durato tre mesi.
Ciò detto, e confermato dalle parole di Verderami, risulta evidente come aprire la crisi di governo ad agosto sia stata la scelta migliore che il capitano potesse fare, per quanto fallimentare: se l’avesse aperta prima, avrebbe semplicemente concesso più tempo per costruire il Conte Bis. Aprendo la crisi proprio a fine estate, Salvini in un certo senso ha messo i due futuri alleati sulle strette, avendo loro ormai già escluso l’eventualità che la crisi si aprisse in periodo estivo.
Inoltre, sebbene attraverso questa mossa il verbo dell’ala conservatrice avrà importanza ancor minore in merito, la Lega con il suo misero 17% in parlamento non avrebbe comunque potuto incidere sulla nomina del Presidente della Repubblica nel 2022. L’unica speranza, al fine di garantirsi tale nomina, è quella che questo nuovo governo giallorosso duri meno di due anni e, date le premesse e considerate le interazioni dei due partiti precedentemente alla loro alleanza, è abbastanza plausibile succeda.